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martes, 25 de agosto de 2020

Elezioni presidenziali in Ecuador.

Domenica 7 febbraio 2021 si vota per eleggere il Presidente della Repubblica e i 137 parlamentari dell'Assemblea Nazionale.

 Quali sono gli scenari in Ecuador a 6 mesi dalle elezioni?


1) Il contesto economico e sociale. 

La situazione economica e sociale in Ecuador. Immagine 1

L'Ecuador sta vivendo una delle peggiori crisi della sua storia. La triplice crisi: politica, economica e sanitaria, è forse  paragonabile a quella che si registrò nell’anno 1999 con il famoso "feriado bancario" e con la "dollarizzazione". In tre anni emigrarono oltre 3 milioni di ecuadoregni (su una popolazione di oltre 12 milioni, secondo i dati del censimento del 2001) verso gli Stati Uniti, l'Italia e la Spagna. Oggi, il paese versa in una situazione economica allarmante malgrado la "pace sociale". Quando durerà questa situazione? Ecco un pò di dati per chiarire il panorama generale. 

  • Secondo gli ultimi dati emanati dalla Camera del Commercio dell’Ecuadorsolo il 17% degli ecuadoregni ha un impiego lavorativo adeguato, il restante 73% occupa un lavoro informale o non registra nessun impiego. In soli due mesi l’occupazione inadeguata è passata dal 57.1% al 67.4%. 
  • Quasi un 50% degli ecuadoregni hanno visto ridurre sostanzialmente i propri ingressi. (dati CELAG)
  • Un 47.8% ha dovuto ricorrere a crediti per coprire le spese ordinarie (fonti CELAG)
  • Secondo il Fondo Monetario Internazionale, l'Ecuador sarà la seconda economia più colpita nella regione, dopo quella venezuelana per il COVID-19. 
  • Le previsioni per il restante periodo del 2020 sono molto preoccupanti. Se tutto va bene, si registrerà una decrescita del 6.3% e un incremento della disoccupazione di un ulteriore 6.5%.
Qual è lo stato d'animo della popolazione ecuadoregna di fronte a questo scenario?
Nonostante la drammatica situazione che vive il paese, non si sono registrate grandi manifestazioni di massa. Tuttavia dal 1º maggio ad oggi son scesi in piazza, in modo contenuto, gli studenti e molte categorie lavorative per i processi di privatizzazione in atto. I lavoratori delle Poste, delle Ferrovie, dei mezzi di comunicazione pubblici e statali, i sindacati del Frente Unitario de los Trabajadores (FUT), del Frente Popular (FP), i movimenti indigeni della CONAIE. Da parte di queste categorie si manifesta un netto NO: all'accordo con il FMI, ai processi di privatizzazione, alla svendita del patrimonio nazionale, all'aumento del caro-vita e alla corruzione dilagante.

2) La destra e la sua "nuova" strategia:  

Jaime Nebot e Guillermo Lasso. La destra in Ecuador. Immagine 2

In Ecuador la destra non presenta cambiamenti o innovazioni di tutto rispetto nella forma e nella sostanza. Ad ogni tornata elettorale si presenta con i politici di sempre. Gli stessi volti, gli stessi linguaggi e le stesse proposte per tutelare le oligarchie storiche del paese, i gruppi d'importazione ed esportazione, quelle dei grandi latifondi, delle banche private e dei possessori dei mezzi di produzioni. La destra dell'Ecuador, ancora legata alla vecchia e stagnante partitocrazia, si presenta solo mediante un gioco di marketing político che goffamente cerca di nascondere il suo progetto classista contro i lavoratori e i settori popolari. È una destra divisa su personalismi ancorati nel tempo e che non riesce a limitarli e superarli per vincere e convincere. Eppure, un elemento "nuovo" e "strano" si configura in queste elezioni: la volontá di “unirsi” contro il male (parafraseando Álvaro Noboa). Il richiamo all'unità è dettato esclusivamente per la paura di perdere le elezioni di fronte al pericolo del correismo. Non ci sono altri elementi che sembrino unire coloro che sono divisi da decenni ormai. I sondaggi dicono che il correismo gode di un 32% di consensi, qualsiasi sia il suo candidato. Per l'unità i big della destra ecuadoregna son disposti a fare un passo indietro per il bene del paese. Per noi italiani ci ricorda un pò la vecchia strategia D'Alemiana. A questo punto sorgono alcuni dubbi. Il primo: il passo indietro è una strategia che sorge all’interno del paese o da fuori? E se così fosse, chi pressiona dall'esterno? Il secondo: l’accordo con il FMI, del passato marzo 2019, ha qualche relazione con questa strategia della destra locale? Il terzo: se la destra dovesse perdere al primo turno, come ci dicono i sondaggi attuali, accetterebbe i risultati del Consiglio Nazionale Elettorale? In base al terzo interrogativo sorge di conseguenza il quarto ed ultimo: quale sarà la situazione post – elettorale in Ecuador nel prossimo febbraio? Uno scenario stile boliviano o argentino?

3) Il movimento indigena:

Il movimento indigeno dell'Ecuador. Immagine 3

Dopo lo sciopero generale del passato ottobre, si attendeva molto dal movimento indigeno per queste elezioni. L’indigenizzazione della protesta ha dato molto risalto alla forza delle organizzazioni sociali. Da quel 13 ottobre, giorno del dialogo tra il Governo e i protestanti, son trascorse molte cose. Eppure il risultato di quelle 12 giornate di protesta si pensava avesse un epilogo diverso in vista delle elezioni presidenziali. Il movimento indigeno è giunto all'appuntamento più diviso che mai. La ritirata di Leonidas Iza e Jaime Vargas, protagonisti delle giornate d'ottobre del 2019, ci dicono di un certo malessere. Iza rappresenta l'ala sinistra della CONAIE e nonostante lo stesso avesse molti consensi all'interno del movimento, a spuntarla è stato Yaku Pèrez. Quest'ultimo ha presentato il suo binomio presidenziale con la presenza di una donna come vice - presidente: Larissa Marangoni. Quest'ultima, Direttrice esecutiva dell'Associazione Pro Benessere della Famiglia Ecuadoregna (Aprofe) ha già creato malumori, dopo aver pubblicato nelle reti sociali affermazioni a favore dei processi di privatizzazione. Marangoni è convinta della privatizzazione di entità indispensabili del settore pubblico como l'IESS (l'INPS italiana) e la Corporazione Nazionale dell'Elettricità (la vecchia ENEL italiana). Nel suo account di Twitter, recentemente ha scritto: "è necessario contemplare la privatizzazione dell'IESS e creare delle forti protezioni affinché il denaro del popolo sia messo in custodia senza che nessun governo possa averne accesso". Infine in un altro Twitter, datato 12 giugno, si legge: "il CNEL, un'altra impresa pubblica che bisogna privatizzare".

4) Il candidato Aráuz: 

Andres Aráuz. Immagine 4

Il binomio presidenziale della Revolución Ciudadana è Aráuz - Correa. Con questa mossa, Rafael Correa vuole ritornare al potere copiando Cristina Fernández de Kirchner che riprende la guida del paese come Vice Presidente, dopo i 4 anni di Macrismo. La scelta di Aráuz è brillante per almeno quattro motivi, a mio avviso. 

  • La persona Aráuz è di tutto rispetto. È un giovane preparato nell'Accademia nazionale e internazionale, con esperienza politica (ex - Ministro della Cultura e Patrimonio durante il II Governo Correa) ed è un dirigente, fin qui, poco visibilizzato della cupola della Revolución Ciudadana. Rappresenta, nell'estetica e nel discorso, un certo rinnovamento.  
  • La strategia adottata dal Correismo in termini elettorali. La sua scelta, non solo si dirige al proprio elettorato, bensì al movimento indigeno, al popolo della protesta di ottobre e alla società civile in generale. Nel movimento indigena c'è un malcontento con il binomio Pérez - Marangoni già esposto. Quest'último, è l'unico candidato presidenziale a riconoscere politicamente il popolo delle proteste dell'ottobre 2019. Ha proposto l'istituzione di una Commissione d'Inchiesta sui fatti accaduti durante lo sciopero generale
  • L'uso di un linguaggio sensibile all'ambiente, al riconoscimento dei diritti civili avvicina una parte di quella societá civile che aveva riservato critiche legittime contro Correa per alcune prese di posizioni autoritarie, dispotiche e maschiliste contro il riconoscimento dei diritti delle donne, dei diritti civili e dell'ambiente. 
  • Infine, Aráuz potrebbe risultare l'unica opzione politica che frenerebbe l'avanzata neoliberista nel paese. La sua vittoria, a mio modo di vedere, non garantirebbe al 100% il ritorno di un progressismo nazionalista, radicale e avanzato dei primi anni del 20º secolo. Pur con le sue enormi contraddizioni, il ritorno di progressismo moderato in Ecuador, come quello in atto in Messico e in Argentina, rappresenterebbe un freno al neoliberismo in auge in America Latina 


Riferimenti:

Immagine 1: https://revistas.uptc.edu.co/index.php/cenes/article/view/3104/5112

Immagine 2: https://www.eltelegrafo.com.ec/noticias/politica/3/creo-ruptura-psc-comicios


viernes, 14 de agosto de 2020

Haití: primer país de América en independizarse.

 La revolución de los esclavos en Haiti. 


"En 1804, Haití se convirtió en la primera república negra de la única revolución de esclavos llevadas a cabo con éxito en el mundo". Así empieza la obra "Toussaint l'Ouverture. La revolución haitiana" de Jean - Bertrand Aristide.  

¿Quién fue Toussaint l'Ouverture? 

Fue el líder de la revolución haitiana, en la que miles de esclavos se rebelaron a sus amos para constituir la primera república negra. La revolución haitiana es anómala, atípica y tal vez desconocida en el continente americano. ¿Por qué? Tal vez porque en la cosmovisión eurocéntrica hegemónica de la cultura occidental blanca, esta revolución resulta ser incómoda y por eso hay que invisibilizarla. 

¿Cuándo empezó la sublevación de los esclavos en Haití? ¿Por qué? 

Para actualizar el sentido y el impacto de la revolución haitiana hoy en día, contacté a Manuela Jean, mujer haitiana y estudiante de la Carrera de Comunicación de la Universidad Politécnica Salesiana de Quito, que cordialmente colaboró para la realización de la siguiente entrevista. 

¿Cuándo empezó la sublevación de los esclavos haitianos?

La noche del 14 de agosto de 1791 por Cécile Fátiman con la ceremonia Bois Caïman llamada también "el acto fundacional de la revolución y la guerra de la independencia" que representa un acto de solidaridad invaluable en la historia de la esclavitud haitiana. Mediante esta ceremonia se genera una alianza entre esclavos de diversas culturas y tradiciones en una tierra lejana y desconocida que sella un pacto entre hombres y mujeres que rechazaban la opresión que existía entre los hombres de la época. 

Cécile Fátiman

En esta noche, que es una de las más importantes de la historia mística de Haití, se sacrificó un cerdo criollo y se distribuyó su sangre a los participantes para saciar su sed de libertad en el desierto esclavista. Los indígenas la tomaron para fortalecerse y hacerse invulnerables, pero en realidad, esta "sangre de la alianza", depositó en cada uno de ellos la valentía necesaria para la guerra en procinto de comenzar. Finalmente, en la noche del 22 de agosto de 1791, el mayor levantamiento de esclavos tuvo lugar. Durante diez días, los esclavos quemaron y masacraron a los blancos, mujeres y niños incluidos. Según los datos oficiales 1.000 blancos fueron asesinados, 161 de campos de caña de azucar y 1.200 campos de café fueron quemados.  

Entre las figuras más representativas de la rebeldía esclavista en su primera fase, encontramos a un jamaiquino cuyo nombre era Dutty Boukman. ¿Quién era?

Boukman fue uno de los artefices de la rebelión esclavista. Era un esclavo y presidió con Cécile Fátiman la ceremonia vudú realizada en el Bosque Caimán. Fue un hombre valiente y sin miedo luchó para la liberación de los esclavos avanzando hasta a Cap-Français en donde perdió la vida durante las represalias perpetuadas por el ejército francés. Su cuerpo fue quemado y su cabeza, clavada en una pica, fue exhibida en Cap-Haitien. Hoy en día, su cabeza está expuesta en Ciudad del Cabo y considerada invulnerable para los esclavos.

Dutty Boukman

En Haití, la idea fundamental de esa noche sigue vigente hoy en nuestras vidas; porque en un momento en el que una fuerza extranjera está presente en tu propio territorio nacional, urge hacer nuestra la oración de Boukman, que invita a la unidad y que nos obliga a reconquistar nuestra soberanía nacional, a preservarla y hacerla crecer. Tenemos muchos ejemplos a lo largo de nuestra historia.

Ante la ideología racista de Europa, que ha culpabilizado a muchos hombres solo por sus colores de piel, que ha separado muchas familias, que ha fragmentado las tribus en África, que ha impuesto nuevas religiones, violando, asesinando y con el pretexto de civilizarnos porque somos  incapaces de elevarnos al significado de libertad por ser infantiles, primitivos o bárbaros; la insurrección de los esclavos en Saint Domingue (el nombre de Haití cuando era colonia francesa) y más tarde la independencia, fue una demostración, una respuesta de la capacidad que los negros tienen para luchar por su libertad y arriesgar inclusive su vida por este valor.

¿Cuál es significado de este acontecimiento para los haitianos?

Ante todo, nos enorgullece a todos los haitianos. Son los primeros en este planeta que han derrotado el proyecto colonialista de una superpotencia económica que han transmitido este odio a la explotación inhumana y abusiva, el racismo blanco y la discriminación racial a otros pueblos. El orgullo de ser la primera república negra del mundo nunca deja a un haitiano en cualquier parte del mundo.

El resultado de la victoria de los esclavos de Saint Domingue sobre el ejército napoleónico, en este entonces el más poderoso del mundo, con la proclamación de la independencia de Haití el 1 de enero de 1804, representa un punto de inflexión en la historia universal cuyo alcance se ha oscurecido durante mucho tiempo.

La bandera de Haití

Este año, se celebra el aniversario n° 229 de la ceremonia de Bois Caïman. El 22 de agosto significa mucho para nosotros haitianos a través del mundo porque, gracias a las violentas insurrecciones de la noche del 22 y 23 de agosto del 1791, los esclavos liberados reclamaron la libertad e igualdad de los derechos y una vez ganado,  nos convertimos en la "primera república negra de la historia".

Fue una guerra larga y sangrienta, porque la independencia se proclamó solo trece años después de esta gran ceremonia. Creo que hasta hoy es la mayor revuelta servil que existe en la historia, y también la única que triunfó. Todos, haitianos son orgullosos de este acontecimiento porque es parte de nuestra identidad.

¿Cómo se celebra hoy?

En el momento de la colonización, los esclavos pertenecían a diferentes tribus como: Nago, Mahome, Wolof entre otros. Lo que implica que ellos no hablaban el mismo idioma y tenían una diversidad cultural muy fuerte, entonces para alcanzar a sus objetivos, usaron la religión vudú y la lengua criolla como punto común.


Para nosotros, La ceremonia de Bois-Caïman, es un gran ejemplo de solidaridad y unificación. Las comunidades haitianas de todo el mundo celebran este día cada año a través de conferencia, proyecciones, bailes, exposiciones y música en vivo. Pero si hoy aceptamos la lengua criolla como punto culminante de nuestra historia, en cambio el vudú es declarado como religión por derecho propio según un decreto publicado en abril de 2003 por el ex presidente haitiano Jean-Bertrand Aristide. Sin embargo, este acto es demonizado desde la época colonial por la aristocracia blanca y la Iglesia católica.

Descrita como el alma del pueblo haitiano y lo que constituye su identidad, esta religión fue, sin embargo, víctima de  vasta campaña de persecución. Y en la actualidad está asociada con malas prácticas. Generalmente esta religión se describe como una fiesta orgiástica de naturaleza demoníaca durante la cual los participantes a menudo se dedican a prácticas rituales de brujería y asesinato. Entonces es muy difícil que se celebra correctamente esta fiesta cuando en Haití casi el 55% de los haitianos son católicos según el CIA World (algunos de ellos también practican el vudú). Las otras religiones se distribuyen de la siguiente manera: Protestantismo: 28,5% (de los cuales: bautistas 15,4%, pentecostales 7,9%, adventistas 3%, metodistas 1,5%) y Vudú: 2,1%

Bibliografía:

http://www.laizquierdadiario.com/A-214-anos-de-la-revolucion-de-Haiti

https://psicologiaymente.com/cultura/religion-vudu