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domingo, 13 de diciembre de 2020

Intervista a Sixto Silgado Paito: l'ultimo gaitero dell'Isola del Rosario di Cartagena (Colombia)

L'ultimo gaitero dell'Isola del Rosario di Cartagena

(Colombia) 


Quito, 13 dicembre del 2020.


Correva l'anno 2010.....


Ero con alcuni amici in Colombia. Avevamo deciso di trascorrere il Natale ai Caraibi, come il titolo di un fil di Carlo Vanzina. Da Cartagena de las Indias prendemmo un ferry boat per raggiungere il delfinario situato su una delle Isole del Rosario.


Dopo aver visitato il delfinario e la splendida isola dell'arcipelago, decidemmo di contattare un pescatore locale con l'intenzione di proseguire verso il mare aperto e raggiungere la più grande delle isole del Rosario. Alla fine ci riuscimmo.

 

Giunti su quest'isola paradisiaca ci restammo per 4 giorni. Tra i tanti ricordi da condividere,  eccone uno. 


Un giorno mentre passeggiavo sull'isola, fuori la porta di una casetta di legno vidi un musicista suonare una gaita. Mi fermai ad ascoltarlo. Durante un momento di silenzio, mi avvicinai e cominciai a conversare con lui. Mi cominciò a raccontare della sua passione per la musica, per la gaita e dei suoi concerti per il continente. Dopo alcuni minuti uscì dalla casetta sua moglie che mi offrì qualcosa da bere e la chiacchierata si fece ancor più piacevole. Quella storia mi aveva già catturato e cosí li interruppi per un momento perché avevo bisogno di andare a prendere il mio tacquino e di realizzare un'intervista al gaitero. Sixto e Wilma mi attesero con gioia.


Andai alla mia capanna, coinvolsi la mia amica Alessandra (ottima fotografa) che mi accompagnò in quella che poi divenne l'intervista all'ultimo gaitero dell'Isola del Rosario


Da quel 27 di dicembre del 2010 non ho più saputo nulla di questo tenero signore. Oggi dovrebbe avere 80 anni. Spero sia ancora vivo e che continui a suonare la sua gaita negra nella meravigliosa isola paradisiaca del Rosario di Cartagena. 


Vi ripropongo quest'articolo scritto 10 anni fa.

Buona lettura!



Il musicista Sixto Silgado Paito - Foto di Alessandra Del Carmine 


di Davide Matrone - Isola del Rosario di Cartagena (Colombia)

dicembre 2010



“Quando iniziai a suonare la gaita negra avevo appena 12 anni….” cosi ha inizio l’incontro con Sixto in un caldissimo pomeriggio di fine dicembre.


Sixto, oggi sessantanovenne e membro attivo del Consiglio Comunitario Afrocolombiano delle isole del Rosario è nato a Flamenco de Maria, la Baja nella regione di Bolivar (Colombia) che rappresenta storicamente la zona che ha consegnato grandi musicisti di gaita. Una regione nella quale, oltretutto, la componente meticcia e quella nera (presente prevalentemente sulla costa) hanno prodotto grandi gaiteros e tamboreros la cui influenza e tradizione segue tutt’oggi. Los gaiteros de San Jacinto Silvestre Julio, Merardo Padilla e los Gaiteros de Punta Brava sono solo alcuni dei più conosciuti.


Sixto Silgado Paito, oggi vive sull’isola del Rosario che è una delle 27 isole dell’arcipelago caraibico colombiano di fronte alla splendida città di Cartagena, sede di un prestigioso Festival Internazionale di Cinema Latinoamericano.

Quando l'abbiamo incontrato era seduto sotto un albero secolare presente in questo paradiso terrestre incontaminato del mar dei Caraibi. Il silenzio veniva interrotto di tanto in tanto dagli scatti della macchina fotografica della mia amica Alessandra testimone dello storico incontro.

Paido giunge su quest'angolo di paradiso nell'anno 1962, quando vi erano pochissimi nativi e l’attività principale era quella della pesca e della coltivazione del cocco. Quest’ultima cancellata con l’arrivo dei gringos (statunitensi) che con l’avvento del turismo hanno espropriato senza rimborsi gran parte delle terre agli abitanti locali. Oggi sull’isola vivono circa 600 persone. Nel frattempo, alla pesca si è aggiunta l’attività artigianale e quella della costruzione di abitazioni in legno. Sixto ci racconta che la sua capanna - dove da rifugio alla sua amata compagna di vita Wilma - l’ha fabbricata e costruita lui con le sue mani.


Conversando con Sixto - Foto di Alessandra Del Carmine



















 

La sua cinquantennale attività di gaitero l’ha portato in giro per la Colombia ma anche per altri paesi internazionali; 


“ho suonato a Medellin, a Bogotà, a Calì, a Cartagena, a Barua e sono stato sull’isola di Fidel Castro (a Cuba) dove sono stato ospite delle istituzioni per tre mesi. Lì ho visto un popolo unito che ha praticamente tutto ma nonostante ciò non abbandonerei mai la mia isola. A maggio poi andrò a suonare a Parigi in compagnia di una cara amica francese che vive a Bogotà”.


La sua musica si ascolta con buoni consensi in tutta la Colombia, a Cuba, a Portorico ed in Brasile.

Sixto Silgado Paito è un validissimo esponente di un genere musicale che racconta la storia e le vicissitudini di un popolo che ha subito una deportazione di massa sin dal secolo XVI. I testi delle sue canzoni ripercorrono la diaspora degli africani che dalle sponde del continente nero approdavano alla città di Cartagena delle Indie per essere smistati per l’intero continente sudamericano.


Con la sua gaita e il suo tambor, Paido, interpreta generi musicali differenti come il merengue, il vallenato, la salsa, il son e il porro. Una tradizione che si tramanda di generazione in generazione. Nella sua famiglia cominciò suo nonno, poi suo padre ed oggi lui cerca di trasmetterlo al suo ultimo figlio che è l'erede di una tradizione antica e prestigiosa. Prima di salutarlo gli chiedo come vive oggi sull’isola e con un tenero sorriso pieno di calore mi risponde:


"con la passione per la musica gaitera e di ciò che la terra mi regala ogni giorno".


 Poi silenziosamente si alza, ci regala una papaia e ci saluta con un sorriso. 

 

sábado, 28 de noviembre de 2020

Maradona: un intellettuale organico

 Maradona: un intellettuale organico


di Davide Matrone 

L'intellettuale organico di Gramsci.

L'uomo è per natura un intellettuale, in quanto non sfugge all'elaborazione del pensiero creativo. È un essere pensante che genera cultura e una sorta di egemonia in alcuni spazi della sua esistenza.

"Tutti gli uomini sono intellettuali, però non tutti gli uomini esercitano nella società la funzione dell'intelletuale"

Con quest'affermazione Gramsci voleva ridimensionare la figura del colto, del dotto, del letterario, dello studioso cercando di ampliare il concetto d'intellettuale ad altre figure che convezionalmente non sono considerate tali. Dal filosofo all'impiegato, dall'accademico al manovale, la categoria d'intellettuale può essere piú amplia. 

Non è anche intellettuale l'operaio in quanto essere umano creatore d'idee? 

Le attività manuali non hanno bisogno dell'esercizio e dell'elaborazione del pensiero?

Detto ciò, Gramsci però  fa una distinzione tra coloro che ricoprono il ruolo specifico d'intellettuale nella società, cioè coloro la cui attività è quella di produrre contenuti ideologici che generano coerenza e consapevolezza della classe sociale a cui sono articolati. 

Questi sarebbero quelli che Gramsci chiama intellettuali organici. Un operaio che emerge dalle file dei lavoratori può svolgere la funzione sociale d'intellettuale organico della classe operaia da cui proviene costruendo una sorta d'egemonia entrando in contatto con gli altri lasciando da parte il proprio sé e difendendo gli interessi della classe d'origine e d'appartenenza. Il compito dell'intelletuale organico è creare un'opera per la libertà della propria classe che rappresenta e non un vuoto e sterile proselistismo. 

Un'egemonia emancipatrice non è - come si crede in alcuni circoli riduzionisti - un'imposizione rispettata felicemente o ipocritamente, ma l'interpretazione dei desideri di quel gruppo, della loro situazione nella storia di uomini creativi, e da lí avverrebbe la presa di coscienza, il carattere attivo dell'essere nel mondo. Ma prima bisogna mobilitare l'intellettuale organico.

Maradona e le sue origini.

Diego Armando Maradona veniva dal popolo. Era nato e cresciuto in un quartiere popolare e povero della periferia di Buenos Aires (Villa Fiorito) in una zona "privata". In un'intervista rilasciata alla televisione argentina, rispondendo alla domanda "quali sono le tue origini?", disse:

Sono nato e cresciuto in un quartiere privato. Privato d'acqua, di energia elettrica e di tutti i servizi basici"

Il quartiere in cui nacque e crebbe Diego Armando Maradona.

La sua famiglia di origine era molto umile ed era composta da suo padre Diego Maradona (1927 - 2015), da sua madre Dalma Salvadora "Tota" Franco (1930 - 2011) e da sette fratelli. Lui era il quinto di otto figli. Don Diego o el "Chitoro" come lo chiamavano tutti, si guadagnava il pane lavorando nell'azienda di macinazione Tritumol, dalle 4 del mattino fino alle tre del pomeriggio. In un'intervista rilasciata al Corriere dello Sport, nel giorno della scomparsa di suo padre (2 luglio del 2015) racconta:

"Mio padre ha sempre lavorato per sfamare la famiglia. È la persona più bella che abbia incontrato nella mia vita. Era un combattente, nato a Corner, nel Corrientes, dov'è stato barcaiolo. Poi con mamma si sono trasferiti a Buenos Aires a lavorare, con casa a Azamor Fiorito. Lavorava nell'azienda di macinazione Tritumol, dalle quattro del mattino fino alle tre del pomeriggio. Erano tempi difficili, eravamo otto figli. Ero già consapevole della povertà. Quando ero piccolo, mi piaceva dormire appoggiando la testa sulla pancia del mio vecchio per ascoltare il suo ton, ton, ton e io dormivo serenamente, perché sapevo che lui si sarebbe preso cura di me".

Facendo un analisi con Pierre Bourdieu, Diego Armando non aveva acquisito un gran capitale culturale. Le misere condizioni della sua classe sociale d'appartenenza non glielo permisero considerando, inoltre, che in molti paesi d'America Latina l'educazione non è considerata un diritto, bensí una mercanzia. La mancanza di un capitale culturale limita notevolmente il successo nell'ambito scolastico, cioè i benefici specifici che i bambini delle differenti classi sociali o frazione delle stesse possono ottenere dal mercato scolastico in relazione alla distribuzione del capitale culturale tra classi e frazioni di classe. Al piccolo Diego poco importava entrar a far parte della competizione nel campo scolastico. Lui aveva due desideri sin dalla sua adolescenza: 

"giocare un Mondiale di calcio e vincerlo" 

Maradona: intellettuale organico.

Diego Armando Maradona, nonostante avesse toccato il cielo e il successo non aveva mai dimenticato le sue origini e poi non se la menava, anzi. L'umiltà è sempre stato un carattere distintivo del suo essere. Il suo cuore è sempre rimasto a lato degli ultimi e li ha sempre difesi. Le sue dichiarazioni poco diplomatiche e senza esitazioni erano mirate contro il sistema, contro il potere e i potenti del calcio e della politica e mai contro i poveri, gli ultimi o gli emarginati. Nelle sue esternazioni c'era l'affermazione delle sue origini, la denuncia e la coscienza di classe. Nella Napoli povera, proletaria, periferica e sempre sconfitta trovò le condizioni favorevoli per esserne organico intellettualmente. Rivendicò la sua classe proletaria d'origine, fece rivendicazioni di classe originando dei contenuti ideologici in base alla coerenza e alla consapevolezza della classe sociale a cui si articolava. Maradona esercitava la funzione dell'intellettuale organico del proletariato napoletano, povero, sfruttato, sconfitto e bistrattato nei campi da calcio soprattutto del nord, nella vita quotidiana dai possidenti dei mezzi di produzioni. Si rese conto del fenomeno del razzismo che esisteva nel calcio e contro i napoletani e il Napoli e lo disse nel 1984 in diretta televisiva durante il programma "La domenica sportiva". Qualcne anno dopo, alla vigilia della semifinale Italia - Argentina da disputare a Napoli disse:

"Solo oggi l'Italia ha scoperto i napoletani"

Queste e tante altre dichiarazioni molto dirette e sincere non piacquero ai benpensanti da salotto, ai bigotti, ai potenti e ai razzisti, ovviamente. Ma piacquero e continuare a piacere al popolo, ai lavoratori, agli antirazzisti, ai napoletani, ai tifosi del Napoli che l'hanno amato, l'amano e continueranno ad amarlo 

Grazie DIEGO!!

martes, 24 de noviembre de 2020

Un ricordo di Fidel Castro a 4 anni dalla sua scomparsa.

Un ricordo di Fidel Castro in Ecuador a 4 anni dalla sua scomparsa

Davide Matrone


La 1° visita di Fidel Castro in Ecuador nel 1971 con il Presidente dell'Ecuador Velasco Ibarra 

https://www.elcomercio.com/tendencias/relacion-fidel-castro-velasco-ibarra.html

Il 25 novembre del 2016 è morto Fidel Castro. Un uomo che ha segnato la storia di Cuba e di tutta l'America Latina. Quattro anni fa se n'è andato davvero. Quando giunse la notizia della sua morte c’era incredulità. Dovemmo aspettare che giungesse una conferma dalle fonti prossime al governo locale. Fu il fratello Raúl a comunicarlo in maniera ufficiale a tutto il mondo. L’incredulità della morte del Comandante era cresciuta negli anni, perché a Fidel l’avevano dato per spacciato tante volte che alla fine lo consideravamo immortale.

Dal 1959 al 2008 i governi nord americani hanno cercato di fermarlo, di eliminarlo fisicamente preparandogli 638 attentati. Lui è scampato sempre con le sue 7 vite da felino. Ben 10 Presidenti degli Stati Uniti (Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford, Carter, Reagan, Bush senior, Clinton, Bush junior) hanno applicato migliaia di strategie per abbatterlo, ma Fidel era sempre lì, in piedi, a sfidare il grande Impero e a testa alta. Alla fine ha vinto lui. Come negarlo?

Se n’ è andato di vecchiaia alla veneranda età di 90 anni nella sua Cuba, amato e rispettato dal suo popolo.

Questo mese sono in corso una serie di attività per ricordarlo, celebrarlo e commemorarlo. Anche in Ecuador c'è un'agenda di incontri virtuali che rendono omaggio all’ ex Comandante. La prima commemorazione si è tenuta il 18 novembre con la presentazione del libro "Le visite di Fidel in Ecuador" degli autori Pepe Regato (ex direttore del quotidiano "El Pueblo" del partito comunista dell'Ecuador) di Alfredo Vera (ex ministro dell'Istruzione del governo socialdemocratico Borja) e con la prefazione del giornalista Pedro Martínez Pírez.

Un testo semplice, ricco di foto, dettagli, ricordi, aneddoti che narra anche le vicende storiche nei contesti politici delle epoche passate.

Fidel Castro ha visitato l'Ecuador quattro volte: nel 1971, nel 1988, nel 2002 e infine nel 2003.

Nell'anno 1971 si tratt ò di una "sosta tecnica", narrano le fonti ufficiali dell'epoca. Il comandante della rivoluzione cubana era di ritorno dal Cile dopo aver visitato il suo amico Salvador Allende. Fu invitato dall’allora presidente dell'Ecuador, Velasco Ibarra che ruppe con gli ordini degli USA e s’incontrò con il lider máximo della Rivoluzione cubana all’interno dell’aeroporto di Guayaquil.

Un incontro, inoltre, che ripristinò le relazioni bilaterali tra i due Paesi interrottesi dal 1962 dopo l’incontro della OEA a Playa del Este, in Uruguay. In quell’incontro si votò l’esclusione di Cuba dall’OEA (VI capitolo dell’atto finale) e l’interruzione di tutte le relazioni economiche con Cuba da parte degli stati membri della stessa OEA (VIII capitolo degli atti finali). A dire il vero, nella votazione finale l’unico paese ad astenersi contro queste misure fu proprio l'Ecuador rappresentato dal Ministro degli Esteri Francisco Acosta Yépez.

La seconda visita si realizzò nell’anno 1988 durante la possesione del neo-presidente dell'Ecuador, Rodrigo Borja. Nel 2002, Fidel fu invitato dalla famiglia Guayasamín a celebrare l'inaugurazione della Cappella dell'Uomo del già defunto Oswaldo Guayasamín, intimo amico del Comandante, a cui dedicò quattro opere d'arti. E infine, la sua ultima visita si ebbe nell’anno 2003 durante la possessione del colonnello Lucio Gutierrez come nuovo presidente dell'Ecuador.

Alla presentazione del libro hanno partecipato le autorità dell’Ambasciata Cubana in Ecuador, i rappresentanti della Provincia del Pichincha e molti simpatizzanti e sostenitori della Rivoluzione Cubana.

Bibliografia

Acta oficial del año 1962 de la octava reunión de consulta de Ministros de Relaciones Exteriores de la OEA. 

Regato, P. Vera, A. (2020). Fidel: cuatro visitas a Ecuador. Prefectura del Pichincha, Ecuador.

Pubblicato in: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-un_ricordo_di_fidel_castro_in_ecuador_a_4_anni_dalla_sua_scomparsa/5694_38370/

martes, 10 de noviembre de 2020

La vittoria di Arce in Bolivia.

La vittoria di Arce in Bolivia.

Luis Arce e David Choquehuanca

di Davide Matrone - Quito, 10 novembre 2020

Luis Arce ha stravinto, con il 55,11%, le elezioni presidenziali in Bolivia lo scorso 18 ottobre. I due candidati della destra boliviana hanno perso in modo netto. Questi ultimi - giunti divisi alla consulta elettorale - hanno conquistato un 42.83% raccogliendo 2.683.139 voti contro i 3.394052 mila voti di Arce. A nulla è servito l'invito - poco efficace - di Jeanine Añez a unirsi per sconfiggere la "dittatura del MAS". A dire il vero non era un gioco semplice far alleare due persone tanto differenti nella formazione e nell'azione politica.

“Noi non giudichiamo le persone, la campagna elettorale del signor Camacho ha una sua logica, noi crediamo che debba esistere una separazione tra Chiesa e Stato" (Mesa durante la campagna elettorale)

I due candidati della destra

Mesa è un politico neoliberale vicino all'impresa boliviana e fu vicepresidente nel governo filostatunitense di Gonzalo Sánchez de Lozada. Quest'ultimo lasciò il potere nel 2003 lasciandosi dietro le scie di una forte crisi economica dopo l'applicazione delle politiche neoliberiste che provocarono la famosa "guerra del gas". Mesa ricoprí poi la carica di Presidente di Bolivia dal 2003 al 2005. In alcuni momenti, quest'ultimo, ha riconosciuto i risultati positivi economici del MAS, criticando allo stesso tempo la forte lidership di Evo Morales. Il successo del MAS si deve anche all'inconsistenza della strategia politica di Mesa che non è riuscito a unire la destra sotto un unico progetto politico. Per questa fallita strategia, si deve l'emergere della figura di Camacho nel passato anno.

Camacho è un imprenditore boliviano. É il Presidente del Comité Pro Cívico di Santa Cruz che include imprenditori locali e oltre 200 istituzioni vicine alle oligarchie tradizionali e a quei settori che hanno appoggiato il golpe del 2019. É considerato il Bolsonaro Boliviano, colui che ha ripetuto piú volte - nei giorni concitati delle proteste del 2019 - "La Bibbia ritornerà al Palazzo di Governo". Ha posizioni razziste, xenofobe e fasciste ed è alleato con i settori evangelici e con l'esercito boliviano. Il 14% conseguito non è da sottovalutare e va letto, nell'ascesa in Bolivia e in tutto il continente dell'emergere e l'affermarsi di una destra nuova, militante, militare, evangelica-protestante d'origine nord americana che ha già avuto successo in Brasile con il Partido Social-Liberal di Jair Bolsonaro. Anche in Uruguay alle elezioni del 2019 si è affermato il partito di destra "Cabildo Abierto" dell'ex militare Guido Manni Ríos (di origine italiane) con l'11.46% dei voti.

Risultati finali elezioni Presidenziali Bolivia 2020


Nella giornata del 9 novembre del 2020 Luis Arce e David Choquehuanca sono stati investiti ufficialmente dall'Assamblea Legislativa Plurinazionale di Bolivia dell'incarico di Presidente e Vicepresidente per il mandato 2020 - 2025. Perché Arce ha stravinto al primo turno le elezioni presidenziali. Quali sono i fattori principali di questo successo?

1) La crescita economica della Bolivia dal 2006 al 2019: Arce non era affatto uno sconosciuto. Durante i governi Morales fu il Ministro dell'Economia. Insieme al líder cocalero, Arce fu l'artefice del boom economico boliviano nei 14 anni di governo MAS. Gli indici di crescita sono stati i piú alti del continente in un periodo in cui si registrava un sostanziale aumento del prezzo delle materie prime. Con i piani economici, sotto la guida MAS, sono usciti dalla povertà estrema oltre due milioni di boliviani. Quando Morales assunse il potere nel 2005, l'indice di povertà estrema era fissato al 38,2% e nel 2018 la stessa variabile era scesa al 15%. Ad elogiare la buona crescita economica in Bolivia ci sono stati anche gli Organismi Multilaterali come il FMI e il BM. Quest'ultimo nell'anno 2017 redasse nel suo rapporto annuale:

La Bolivia è campione nella crescita d'entrate per il 40% piú povero della sua popolazione. Rappresenta una dell'eredità piú importanti che conserverà questo Governo" (Rapporto annuale del Banco Mondiale per la Bolivia nell'anno 2017)

Arce non solo si occupò della crescita economica in termini di nuove accumulazioni di capitali, visionò personalmente i processi di nazionalizzazione dei settori del gas, del petrolio e delle risorse naturali del paese. Incentivò un processo di cambio della matrice produttiva dando priorità al prodotto nazionale e infine creò una serie di misure per fomentare il cooperativismo e il sorgere di micro - imprese a conduzione comunitaria. Questi processi non furono assolutamente accettati dai settori tradizionali, dalle elite di sempre che videro perdere la propria leggitimità nel processo di produzione, importazione, esportazione e distribuzione delle merci; processi gestiti in maniera esclusiva e monopolistica dalle solite oligarchie filo europee e filo statunitensi. La Bolivia degli ultimi due anni di Morales registrò tassi di crescita straordinari, considerando il periodo di recessione e decrescita economica generale a livello mondiale. Secondo i dati del CELAG (Centro Estratégico Latinoamericano de Geopolítica) la Bolivia nel 2018 crebbe del 4.7%. 

Fonte: CELAG

Analizzando, inoltre, i dati emanati dal Banco Mondiale (https://datos.bancomundial.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG?locations=BO) si nota che la Bolivia, sotto la guida di Evo Morales, registra tassi di crescita sostanziali che non si verificavano dalla fine degli anni '90. Solo nell'anno 1998 si registra una crescita del 4.3% ma dallo stesso anno al 2005 la media di crescita è del 2.2%.

Ecco i dati emanati dal Banco Mondiale sulla crescita del PIL in Bolivia dal 2005 (anno della possesione di Evo Morales) al 2019:


  • Media di crescita dal 1999 al 2005: 2.2% (Prima di Morales)
  • 2006 = + 4.8%
  • 2007 = + 4.6%
  • 2008 = + 6.1%
  • 2009 = + 3.4%
  • 2010 = + 4.1%
  • 2011 = + 5.2%
  • 2012 = + 5.1% 
  • 2013 = + 6.8%
  • 2014 = + 5.5%
  • 2015 = + 4.9%
  • 2016 = + 4.3%
  • 2017 = + 4.2%
  • 2018 = + 4.2%
  • 2019 = + 2.3%
  • Media di crescita in 14 anni = + 4.8% (Con Morales)


FONTE: Banco Mondiale. Foto di Davide Matrone 

2) L'unità del MAS e la popolarità di Evo Morales: Un altro elemento che ha determinato la vittoria contundente di Arce è rappresentata dall'unità dei settori indigeni e dei lavoratori sotto l'unica sigla MAS. Solo un anno fa lo stesso partito vinse le elezioni con il 47% conseguendo quasi 3 milioni di voti su tutto il territorio nazionale. La popolarità di Evo Morales non si era assolutamente estinta dopo 11 mesi. Oltretutto, con il clima di repressione e autoritarismo di stampo militare perpetuato dal governo golpista di Añez, le organizzazioni sociali e il partito MAS sono stati molto capaci di non generare lo scontro nell'ambito militare (perché avrebbero perso), bensí di elevare il conflitto di classe nel campo politico. Questo, a mio avviso, è stato uno degli elementi chiave della vittoria di Arce e questo è possibile solo se si ha un'organizzazione salda, unita, solida, consciente e presente nei territoriQuesto si deduce leggendo e analizzando il voto elettorale che è una chiara rappresentazione della divisione di classe presente in Bolivia. Il MAS riesce ancora a tenere salda l'allenza tra la classe lavoratrice e contadina nelle zone con alta presenza di tali gruppi e classi sociali. Il MAS conquista i voti in quelle regioni prevalentemente povere, operaie e rurali dove si registra un'alta percentuale delle nazionalità indigene. Dall'altro lato, il voto che conquistano i candidati della destra si danno in quelle zone territoriali abitate prevalentemente dai meticci - bianchi eredi delle oligarchie spagnole ed europee che, pur rappresentando una minoranza etnica in Bolivia, sono coloro che posseggono i mezzi di produzioni. Il voto in Bolivia è quindi un voto di classe e di appartenenza etnica.

Fonte: Wikipedia

3) L'inconsistenza e l'impopolarità del Governo Añez. Quando Jeanine Añez giunse al Palazzo Presidenziale, era un esponente del partito "Bolivia dice no" che alle elezioni del 2019 aveva conquistato il 4.24% conseguendo 1 senatore e 4 deputati all'Assamblea Legisltativa Plurinazionale della Bolivia. Come puó un esponente di un partito che ha solo il 4% autoproclamarsi Presidente ad Interim? Che sostegno popolare e credibilità ha la stessa persona? Su queste basi è cominciato il Governo Golpista di Jeanine Añez. A questa forzatura iniziale, si aggiunge la persecuzione ai lider indigeni, l'autoritarismo governativo, i morti nelle manifestazioni di piazza, alcuni casi di corruzione, la crisi economica agudizzatasi con el COVID-19, le affermazioni razziste e denigratorie contro i movimenti indigeni (che rappresentano la maggioranza del paese). Añez, inoltre, non è riuscita alla fine del suo mandato a unire le destre come aveva preannunciato per sconfiggere il ritorno della "dittatura del MAS". In definitiva, un fracasso totale.

Jeanine Añez

Alcune conclusioni su questa vittoria politica ed elettorale:

1) il progressismo di sinistra latinoamericano, seppur con le sue grandi contraddizioni, è ancora in vita. Non è stato ancora sepolto.

2) l'unità delle organizzazioni sociali, dei lavoratori e dei contadini in America Latina è fondamentale per sconfiggere i reazionari, i retrogradi, i fascisti, i razzisti e i conservatori in qualsiasi paese,

3) la strategia delle destre, delle oligarchie e delle elite latinoamericane, basata sulla costituzione di un apparato repressivo e giustizialista, non sempre funziona,

4) i 15-20 anni passati, caratterizzati dall'applicazione di politiche economiche neokenesiane promosse dai governi progressisti in America Latina, hanno lasciato il segno tra i settori popolari, i lavoratori e i contadini del continente,


Fonti:

https://www.celag.org/la-economia-boliviana-2019/#:~:text=Durante%20el%20a%C3%B1o%202018%20el,para%202016%20y%202017%2C%20respectivamente.
https://datos.bancomundial.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG?locations=BO

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jueves, 29 de octubre de 2020

Entrevista a Leonidas Iza.

Entervista a Leonidas Iza

de Davide Matrone

Leonidas Iza - Foto de Davide Matrone 

¿Cuál es la situación general de Covid-19 en las comunidades?

A partir de una falta de planificación cuidadosa por parte del Estado en el manejo del COVID-19, nuestras comunidades indígenas han actuado de manera independiente implementándose en cuatro frentes: 1) fortalecimiento del uso de la medicina ancestral que nos ha ayudado psicológicamente y para aliviar los síntomas leves; 2) nunca dejamos de producir más bien se incrementó la producción, en el sector agrícola que generó una ruptura con el sistema de comercialización, en donde se profundizó la especulación exclusiva y excluyente; 3) impulso del control comunitario en materia de prevención y aplicación de protocolos de prevención en salud; 4) difusión de campañas de bioseguridad en los medios y redes sociales en al menos 10 idiomas de las nacionalidades indígenas del Ecuador.

En octubre de 2019, millones de latinoamericanos se levantaron contra las recetas del FMI. Los primeros en rebelarse fueron los movimientos indígenas de Ecuador. ¿Por qué?

Paro Nacional. Octubre de 2019. El Comercio

El levantamiento del mes de octubre en Ecuador no se originó exclusivamente por la promulgación del Decreto 883 (eliminación de los subsidios a los combustibles) sino también por la aplicación de las políticas económicas de carácter neoliberal extractivas que se impulsaron antes. La flexibilidad y la precariedad del trabajo; la privatización de las empresas públicas; la reducción del gasto corriente en salud y educación; había sancionado el fin del diálogo con el gobierno por la nula respuesta a los problemas presentados por la CONAIE en los dos años de dialogo con el gobierno. El retorno del paradigma neoliberal al continente, ha provocado una grave crisis económica que ha empujado a la rebelión de los pueblos de Haití, Chile y Colombia.

Luego de 12 días de lucha, llegaron a la mesa de diálogo de la que se obtuvo la derogación del Decreto 883. Sin embargo, había otros 11 reclamos. ¿Por qué se detuvo el diálogo?

El gobierno está bajo el chantaje del FMI. Si hubiera aceptado dialogar con nosotros, no habría tenido acceso a los recursos económicos que le otorgan los Organismos Multilaterales que han condicionado la agenda política y controlan la economía. Sin embargo, somos conscientes de nuestros errores en la fase posterior al diálogo y que se debía seguir presionando para que se tomaran en cuenta las propuestas; pero días posteriores vino la pandemia de la cual también aprovecharon para imponer otras medidas. Mientras tanto, el gobierno ha seguido aplicando la estrategia del “divide y vencerás”, polarizando su discurso fragmentando el movimiento en pacíficos y violentos. Además, el mismo Decreto 883 fue reenviado con otro decreto, de forma engañosa, a partir de marzo de 2020 a través del sistema de rango de precios. Este último, con un incremento del 5% mensual, conducirá a la eliminación del 100% de los subsidios a los combustibles en un año y medio. En los últimos 6 meses de aplicación de este sistema de rango de precios, se registra un incremento del 20% del precio de la gasolina.

¿Qué hacer?

Tenemos que pasar al “Qué hacer” y a la fase de propuesta. En primer lugar, abordar el problema del extractivismo. El 15% del territorio nacional – del cual el 70% se concentra en nuestras zonas de territorios indígenas – sigue siendo afectado por las políticas extractivistas. Otros temas como: el transporte comunitario, el reconocimiento de la educación bilingüe, el cambio de matriz productiva y la justicia indígena deben abordarse. Continuaremos luchando por un entendimiento y una solución orgánica de los problemas levantados en los últimos años.

Estamos en campaña electoral. El nuevo presidente y el nuevo Parlamento serán elegidos el próximo febrero de 2021. ¿Qué está pasando en este momento?

notimundo.com.ec

El oficialismo actual tiene una baja legitimidad popular y para continuar con el modelo de desarrollo neoliberal apoya al candidato de derecha Guillermo Lasso al cual están anclados, todo el bloque del poder político y económico, realmente existente del Ecuador, el cual ha venido cogobernando mediante un pacto político. Por lo mismo, está utilizando los medios de comunicación (sus aliados) para construir una cortina de humo permanente con casos de corrupción que intentan ocultar la profunda crisis económica que azota al país. En nuestra Constitución, desde el año 2008, se reconocen tres formas de democracia: representativa, directa y comunitaria pero solo son formales, en mi opinión. Nosotros, como organización de masas, tenemos una tarea importante: aumentar la participación popular y criticar el sistema de partidos que debilita la democracia.

Pensaba que usted iba a ser el candidato del Movimiento Indígena en estas elecciones, pero es Yaku Pérez. ¿Qué pasó?

Personalmente, había declarado públicamente que luego de que los dirigentes nacionales irrespetaran el debido proceso de democracia interna en base a decisiones colectivas, no me postularé para ningún cargo. Con respecto a la candidatura de Yaku Pérez, desde el principio expresé mi critica a las modalidades en la que determinaron la candidatura del binomio presidencial del movimiento Pachakutik. Algunos compañeros de la dirección ejecutiva legitimaron la participación individual de los afiliados y no respetaron el proceso colectivo, como establece los diferentes espacios de toma de decisión de la CONAIE. Si la democracia comunitaria está reconocida en la Carta Magna, deberíamos ser los primeros en aplicarla. No hubo un proceso de primarias libres y democráticas.

Del 18 al 30 de septiembre estuvo por los Estados Unidos presentando su libro «Estallido: la rebelión de octubre en Ecuador». ¿Cómo le fue?

El principal objetivo de mí visita a Estados Unidos fue generar las condiciones de unidad para la lucha contra el racismo y la explotación. La Independencia de Estados Unidos, a partir del año 1776, se basa también en las luchas por la liberación de los esclavos; por eso hemos organizado una serie de encuentros con los hermanos afrodescendientes que hoy luchan contra el racismo. Esperamos poder presentar el libro también en Europa para incrementar los procesos unitarios de lucha y combatir la expansión de un orden mundial basado en la ideología fascista. Es fundamental la unión de los trabajadores del mundo. Pero además, la unidad con todos los migrantes que salen de nuestros países a ser aportantes en el desarrollo de los países centrales. 

Durante su gira por Estados Unidos se registraron maniobras políticas. La visita de Yaku Pérez a su región, la candidatura parlamentaria de su mano derecha Peter Calo y la de Jaime Vargas siguen en juego. ¿Cómo interpretas estos movimientos?

La llegada de Pérez a mi región indica un irrespeto a los procesos colectivos y esto es muy doloroso para todos los que sostenemos con firmeza lo colectivo. El 2 de octubre, Jaime Vargas fue ratificado candidato del colectivo adherente que representa a los pueblos y nacionalidades indígenas, pero los dirigentes de Pachakutik una vez más no dieron acceso a la decisión colectiva. Sin embargo, dijimos que apoyamos la agenda política del movimiento indígena de Ecuador.

Las encuestas de hoy dan a Arauz en primer lugar y a Lasso en segundo lugar. Si hay balotaje, ¿cómo se comportará el movimiento indígena?

Lasso, Pérez, Iza y Arauz. Revista Crisis

En este momento los que pertenecen estructuralmente a la CONAIE y a Pachakutik sostienen y apoyarán el proyecto político del movimiento indígena. Hay tres escenarios que pueden suceder. Si hay un balotaje entre el candidato Arauz y Lasso, mi colectivo no apoyará un proyecto político de la derecha. En un probable balotaje entre Pérez y Arauz, pues sostendremos decisiones colectivas y no queremos que se compromete nuestro proyecto político en base al acuerdo con la derecha que buscará influir en un candidato. Finalmente, hay un tercer escenario, el balotaje entre Lasso y Pérez. En este caso el proyecto político del movimiento tiene que anclar en esta idea del progresismo convocando a los sectores de izquierda que apoyen el proyecto de transformación y respetar al movimiento indígena y no perseguirlo como se dio en el pasado reciente. En definitiva, en cualquier caso, no estamos dispuestos a disolver el proyecto político del movimiento indígena con ningún tipo de acuerdo con la derecha.

El 18 de octubre el MAS ganó las elecciones presidenciales. ¿Cuál será el mayor desafío de Arce?

 

El neo - presidente de Bolivia Arce. Fuente: El Español


El pueblo boliviano ha demostrado una gran valentía. No se dejó intimidar por las políticas racistas y denigrantes del gobierno de derecha. Los movimientos indígenas de Bolivia han logrado elevar el conflicto a la esfera política y calificar el programa del nuevo presidente Arce. La mayoría dijo basta al modelo de desarrollo neoliberal. Sin embargo, hay que criticar y aprender de los errores del pasado. El binomio Arce – Choquehuanca ganó gracias al apoyo de las organizaciones sociales y a los movimientos indígenas, por lo que la acción política del gobierno tendrá que manejarse en base a estas alianzas. En el pasado hemos criticado el modelo de desarrollo que atacaba los territorios de las nacionalidades indígenas como en el caso del TIPNIS. A partir de esto, es necesario generar una propuesta que permita un equilibrio de desarrollo con una visión también de los pueblos originarios. Necesitamos volver a discutir las consecuencias negativas de las políticas económicas centradas en el extractivismo. El progresismo latinoamericano aún goza de un apoyo popular que representa la resistencia a las recetas de treinta años del FMI que han implementado las crisis que enfrentamos hoy. En última instancia, debemos trabajar en todo el continente por la unidad de la izquierda contra el neoliberalismo.

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https://ilmanifesto.it/leonidas-iza-estrattivismo-in-ecuador-no-grazie/?fbclid=IwAR0xJqj6TvKQwmO6GRaKUIY8lBJm78TMycsbmqb_PsTs1oGpKI-VpbXXyt8

https://enretrospectiva23.blogspot.com/2020/11/leonidas-iza-ecuador-movimiento.html

http://indi.ups.edu.ec/blog/dmatrone/?p=137

https://www.elsaltodiario.com/mapas/entrevista-leonidas-iza-ecuador-movimiento-indigena-coronavirus-conaie

https://www.revistacrisis.com/debate-critica/leonidas-iza-debemos-trabajar-por-la-unidad-continental-contra-el-neoliberalismo

https://bloglemu.blogspot.com/2020/11/ecuador-el-retorno-del-paradigma.html

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-ecuador_intervista_al_leader_indigeno_leonidas_iza_lavorare_in_tutto_il_continente_per_lunit_della_sinistra_contro_il_neoliberismo/5694_38169/

https://global.ilmanifesto.it/ecuadorian-organizer-leonidas-iza-the-government-is-under-blackmail-by-the-imf/

https://www.resumenlatinoamericano.org/2020/11/15/ecuador-leonidas-iza-el-retorno-del-paradigma-neoliberal-en-america-latina-ha-empujado-a-la-rebelion-a-los-pueblos/

https://qoshe.com/il-manifesto-global/davide-matrone/ecuadorian-organizer-leonidas-iza-the-governme/91747784?getQID