Intervista di Davide Matrone
Qual è la situazione generale in Brasile rispetto al Covid-19?
La situazione politica, economica e sociale brasiliana in
questi mesi è davvero complicata, proprio come in molti altri Paesi del mondo.
Non ha senso fare classifiche ma, senza dubbio, tra gli Stati più popolosi del
mondo, se non è quello che sta vivendo e affrontando la pandemia nel peggior
modo possibile, sicuramente il Brasile merita un posto sul podio dell’ipotetica
classifica dei peggiori a livello globale. I malati ufficiali sono tantissimi
(circa 700000) e i test fatti pochissimi, cosa che fa pensare a una grande
sottostimazione. I morti crescono (sono 36000) e il governo, diffondendo i dati
giornalieri alle 22, cerca di nasconderli al grande pubblico, pensando anche di
rendere poco chiare le statistiche sul sito istituzionale del Ministero della
Sanità, in una tensione continua con gli organi d’informazione e le agenzie
internazionali, che sta seppellendo la reputazione del Paese, già molto provata
da poco più di un anno di bolsonarismo governativo. Persino Trump, idolo del
presidente brasiliano, ha indicato il Brasile come esempio fallimentare nella
gestione dell’emergenza sanitaria.
Come sta gestendo la situazione il Presidente Bolsonaro?
Da quando ha preso il potere, il Presidente Bolsonaro ha
mostrato tutta la sua inadeguatezza psicologica, una notevole impreparazione
tecnica nella scelta e gestione dei collaboratori, una evidente
impresentabilità di stile e linguaggio negli eventi internazionali, per un
incarico di tale importanza. È chiaro che la sua ascesa sia stata favorita da
chi voleva usarlo come cavallo di Troia per liberarsi definitivamente del
petismo e di una politica che dava allo Stato un ruolo fondamentale nel
tentativo di diminuire le vergnose disuguaglianze e ingiustizie sociali che
attanagliano il Paese da sempre. Democrazia fragile e poco cosciente, quella
brasiliana: se si fosse aperto un procedimento di cassazione da deputato di
Bolsonaro quando dichiarò, durante l’impeachment orchestrato contro la
presidente Dilma, di votare a favore della sua deposizione in nome di un noto torturatore
degli anni della dittatura, Brilhante Ustra, ci saremmo liberati in tempo di
questo personaggio, restituendolo agli scantinati più bui e polverosi della
storia, collocazione che meritava dopo 30 anni onorati di nullafacenza
parlamentare e di molti atteggiamenti e gesti misogini, omofobici e razzisti,
tali da far accapponare la pelle dei più sensibili. Ma se è lì vuol dire che ci
sono anche molti brasiliani e brasiliane pronti a votare ancora oggi per una
figura del genere. Elettori ed elettrici che, nonostante tutto il caos e le
divisioni alimentate sulla questione dell’utilità dell’isolamento sociale per
controllare la diffusione del covid-19, da lui disprezzato e deriso con vari
esempi di assembramenti e la poca trasparenza sulle sue condizioni di salute;
con le battute sui malati e i morti che aumentavano nel Paese; il licenziamento
dei medici presenti nella direzione del Ministero della Sanità (compresi due
ministri), riempito di militari senza formazione adeguata, lo premiano ancora
con circa un 30% dei consensi, si spera calante.
Quali sono le conseguenze economiche?
Oggi il Brasile sta vivendo una pandemia nel mezzo sia di una pregressa, crescente e, ormai, senza precedenti nell’era democratica, crisi istituzionale, che di una ancora non superata (e adesso rafforzata) crisi economica, dovuta alle difficoltà interne e internazionali derivate in parte ancora dagli effetti del 2008 e di una struttura economica difficile da riformare e basata sull’esportazione di commodities.
Dal punto di vista economico, proprio le imprese che vivono di esportazione, principlamente quelle del settore che viene chiamato agronegócio, reggono bene e, in alcuni casi, crescono, per l'aumento della richiesta internazionale di prodotti del comparto alimentare (grano, soia, carni), di cui il Brasile è già da anni un grande esportatore. Le imprese automobilistiche hanno visto approvati degli aiuti federali, pensati rapidamente anche per il settore bancario che, in cambio, ha donato qualche spicciolo alla lotta contro il COVID-19, senza dimenticare di pagare spot per garantire la visibilità pubblica alle proprie iniziative benefiche in orario televisivo nobile.
A livello microeconomico i problemi sono
serissimi: le piccole imprese e quelle individuali sono in grande sofferenza,
esplose numericamente anche a causa di una terziarizzazione sistematica dei
servizi e da uno stimolo alla creazione dell’impresa individuale (promossi a
livello legislativo), con riduzione o scomparsa dei diritti previsti per i
lavoratori dipendenti, che non lo sono più solo formalmente, come in Italia è
successo già da anni in molti settori. Il governo si è dimostrato incapace e
poco propenso a sostenere il reddito delle famiglie e dei lavoratori formali e
informali più esposti alla pandemia, cosicché l’isolamento sociale necessario
per contenere la diffusione del virus si è rivelato impossibile da realizzare
in molte città, piccole e grandi. Le persone devono uscire di casa per
lavorare, cercare di guadagnare qualcosa, favorendo la circolazione del virus e
vanificando le poche iniziative, non coordinate a livello federale, che
governatori e sindaci portano avanti, pur in maniera contraddittoria.
In questo scenario instabile e incerto, immagino ci siano anche delle contraddizioni nell'ambito politico-instituzionale. Cosa ci dici?
La crisi istituzionale vede un conflitto tra STF (l’equivalente della nostra Corte costituzionale) e Esecutivo, con il Congresso frantumato dai mille interessi particolari, a cui Bolsonaro si sta attaccando come una ventosa, per proteggersi da un eventuale impeachment, violando esplicitamente tutti quegli impegni presi precedentemente contro il mercanteggio di incarichi istituzionali federali e locali, in cambio dell’appoggio in parlamento. Il governo non ha una politica coerente per affrontare di petto gli effetti più nefasti del virus, litiga con i governatori per questioni di potere, di opportunismo politico (da entrambe le parti). Chi gli ha detto no, è stato allontanato o stimolato ad andarsene. Il caso più eclatante è avvenuto con le dimissioni del superministro della Giustizia Sergio Moro che, pensando in primo luogo alla propria futura carriera politica, ha deciso di ingaggiare una lotta personale con il presidente, a causa delle evidenti e gravi interferenze di quest’ultimo nelle scelte dei vertici della Polizia Federale, che sta indagando, tra l’altro, su possibili attività illecite della famiglia Bolsonaro, a livello locale e federale. Moro, che non ha avuto la dignità sufficiente per entrare in politica dopo una pausa da magistrato, ma è saltato, nel 2018, sul carro del vincitore delle elezioni, dopo aver contribuito alla sua elezione ancora da magistrato, agendo rapidamente per fermare la possibile ricandidatura di Lula. All’epoca delle elezioni, rese pubblica una delazione (una delazione appunto, non una prova), che metteva giustamente in cattiva luce il principale avversario di Bolsonaro, il petista Haddad.
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Il Ministro della Giustizia Moro e il Presidente Bolsonaro |
Se l’obiettivo era indebolire e frantumare ulteriormente la sinistra per ridurre il suo peso politico-elettorale, questo è stato centrato solo in parte. Infatti, oltre alla sinistra ormai tradizionale del Brasile, con partiti come il PT, Psol, PcdoB, Rede, anche il principale partito di centro-destra, il PSDB dell’ex-Presidente Fernando Henrique Cardoso, è stato travolto dalla demonizzazione della vecchia politica che, senza nulla togliere alla corruzione endemica di cui era ed è portatrice, ha dato spazio a una destra aggressiva, ignorante, ultraconservatrice e allineata a network internazionali come quello de Steve Bannon. I militari, che sono entrati in massa nel governo, stanno tutelando la Presidenza della Repubblica, ma non sembrano propensi a facili colpi di mano, in questo momento, a favore di Bolsonaro, tollerato da molti di loro, ma non stimato e considerato adeguato all’incarico che riveste. C’è da dire che l’articolo 142 della Costituzione federale del 1988 è invocato dalle piazze di destra, perché attribuisce all’esercito la possibilità, se invocato da uno dei poteri fondamentali (come quello della presidenza) di ristabilire “la legge e l’ordine”. L’eredità della dittatura si fa sentire ancora oggi sulla legge fondamentale dello Stato, e questo rende sempre possibile un attivismo politico e l’uso della forza da parte dei militari che, proprio nel governo Bolsonaro, hanno ritrovato la possibilità di un protagonismo e di una visibilità istituzionale inconcepibile in una democrazia del vecchio continente.
Quali sono i prossimi scenari?
In attesa di ulteriori svolgimenti, in direzione golpista o meno, della querelle istituzionale tra massimi poteri dello Stato, l’opposizione al bolsonarismo non si coagula. Divisioni ideologiche e sui metodi d’azione sembrano inevitabili, perché forze politiche e movimenti sociali antagonisti fino a pochissimo tempo fa sarebbero temporaneamente unificati, a partire da una piattaforma moderata, solo per fare pressioni sull’esecutivo, su STF e sul Tribunale federale elettorale, perché cassi la lista di Bolsonaro a causa della diffusione di fake news durante le elezioni del 2018.
Manca organizzazione, visione d’insieme, partecipazione
popolare consistente e cosciente. Persino casi clamorosi di azioni omicide
della polizia ai danni di giovani e adolescenti della periferia, come quello
del quattordicenne João Pedro ucciso in casa durante un’operazione poliziesca,
non riescono a suscitare momenti di commozione tali da avviare manifestazioni popolari
imponenti come quelle nordamericane. La pandemia, come dicevo all’inizio, ha
solo complicato una situazione già difficile, in cui non si riesce a produrre
un progetto di Paese per il futuro, un’idea che unifichi le classi popolari lavoratrici
e che permetta l’affermazione di una società più giusta, basata su una
democrazia sociale, sostanziale, inclusiva e non esclusiva. Bisogna lottare con tutti i mezzi per invertire questa situazione. Ma la nottata, anche a sinistra,
sembra diventata paurosamente lunga e piena d’insidie.
Speriamo almeno che farmaci e vaccini adeguati arrivino
presto e limitino la strage che il governo, consapevolmente, sta alimentando,
liberandosi di vecchi, di malati, di indigenti e, cosa da non sottovalutare per
il futuro del ricco territorio amazzonico, di gruppi indigeni.
L'intervistato:
Gesualdo Maffia, dottore di ricerca in Storia contemporanea presso l'Università di Genova e dottore di ricerca in Letteratura italiana presso l'Università di San Paolo in Brasile dove si occupa di storia, lingua e letteratura italiana. In Brasile dal 2012. Attualmente è professore di Lingua Italiana presso l'Università Federale di Bahia, a Salvador. Ha pubblicato saggi su Antonio Gramsci e su Pier Paolo Pasolini, tra cui il libro "Pasolini critico militante" (San Paolo, Nova Alexandria, 2019).
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Gesualdo Maffia |
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