Buscar este blog

lunes, 27 de abril de 2020

No alla costruzione di una nuova idroelettrica nell'Amazzonia dell'Ecuador


Le popolazioni kichwa dell'Amazzonia dell'Ecuador contro la costruzione di una nuova idroelettrica
di Davide Matrone


 
Il rio Piatúa nasce nella Cordigliera di Llanganates. Le sue acque cristalline e pure, insieme alla flora e fauna circostante, son parte del meraviglioso paesaggio della zona Amazzonica dell’Ecuador. Da sempre, in questa parte del mondo vivono le comunità kichwa di Santa Clara che convivono pacificamente con la natura. Oggi, questa zona è in pericolo per la costruzione dell’idroelettrica dell’impresa privata GENEFRAN S.A.

Dal 10 novembre del 2018 le popolazioni locali sono in lotta per difendere le loro terre, le loro vite, i loro diritti di abitanti del paese. Con il trascorrere del tempo la lotta si è intensificata prendendo anche cammini di carattere legale. Nel mese di maggio dell’anno 2019, la dirigenza di Ponakics ha esposto una denuncia di Acción de Protección allo stato ecuadoriano a favore del rio Piatúa in quanto (secondo l’organizzazione) sono stati violati i diritti collettivi per la mancata consultazione previa con le popolazioni locali in merito alla costruzione dell’idroelettrica. I rappresentanti delle popolazioni kichwa sono preoccupati per l’evolversi della vicenda. Dichiarano che il progetto stabilisce la deviazione del 90% del bacino fluviale lasciando buona parte della popolazione senza risorse necessarie per la sopravvivenza. Oltretutto, questo significa la distruzione dell’intero ecosistema della zona interessata.

Se noi appoggiamo a GENEFRAN oggi, nel prossimo futuro che ne sarà della nostra vita, dei nostri figli? Non abbiamo bisogno dell’idroelettrica. Qui, abbiamo tutto!” Ha dichiarato Sisa Cuji Gualinga, abitante della zona di Santa Clara.

Yajaira Curipallo, delegata della Defensoria del pueblo della zona di Pastaza ha dichiarato che dall’anno 2018 si stanno vulnerando i diritti dei popoli e delle nazionalità senza consultazione previa, libera e informata, cosí come lo prevede la legge nazionale. Allo stesso tempo sono stati violati i diritti della natura in quanto il rio Piatúa si trova in una delle zone piú sensibili dell’Ecuador e per la diversitá biologica esistente.

Dal mese di settembre del 2019, le comunità della zona hanno realizzato varie e ripetute azioni di lotta occupando le arterie di comunicazioni più importanti dell’Amazzonia e dell’Ecuador come quella che collega Puyo al Tena.

Intanto, l’impresa GENEFRAN S.A. si difende dicendo che la costruzione dell’idroelettrica non arrecherà danni all’ecosistema e al cammino del fiume Piatúa. Inoltre, aggiunge che esiste una disinformazione rispetto al progetto. Coloro che stanno manifestando generano caos, disordini senza sapere completamente del progetto in corso. Infine, questo stesso progetto genererà lavoro e sviluppo per l’intera provincia.

Pubblicato in: 


viernes, 24 de abril de 2020

Intervista ad Adelmo Cervi.

Intervista ad Adelmo Cervi.

I sette fratelli Cervi
I sette fratelli Cervi
di Davide Matrone
Intervista ad Adelmo Cervi figlio di Aldo Cervi ucciso il 28 dicembre del 1943 insieme ai suoi 6 fratelli nel poligono di tiro di Reggio Emilia ad opera dei Fascisti
Adelmo Cervi è il figlio di Aldo Cervi (nato nel 1909), ucciso il 28 dicembre del 1943 insieme ai suoi 6 fratelli nel poligono di tiro di Reggio Emilia ad opera dei Fascisti.



La tua famiglia…..
La mia famiglia era composta da contadini ed era molto cattolica e conservatrice. Molti pensavano che noi fossimo stati sempre comunisti. Mio padre e i miei zii erano dei contadini semplici che lavoravano la terra duramente.
In che paesino siamo?
Siamo a Campegine, poi successivamente la mia famiglia si sposta a Praticello; un comune che si trova tra Parma e Reggio Emilia spostato verso il Po.
Campegine_chiesa_ss_pietro_e_paolo
Campegine: La chiesa di San Pietro e Paolo

E tuo padre?
Mio padre era il terzogenito ed era quello più politicizzato dei fratelli. Anche lui cattolico e iscritto ai giovani dell’AMPLI, però fu quello che nel corso degli anni si converte decisamente alle idee socialiste insieme allo zio Gelindo. Insieme furono quelli che convinsero gli altri della famiglia a partecipare attivamente alla militanza antifascista.
Come e quando tuo padre si converte alle idee socialiste?
Dunque, mio padre Aldo parte per militare nel ’29 e qui successe un episodio che cambiò le sorti sue e quelle dell’intera famiglia Cervi. In caserma stette in contatto con un suo superiore dell’esercito, un fascista carogna a cui piaceva mandare sotto punizione i suoi subalterni in una maniera stupida e autoritaria. Durante questo periodo, una notte di sentinella fu coinvolto in un incidente nel quale rimase ferito questo superiore. Per questo episodio, ci fu un processo nel quale mio padre, ovviamente, fu condannato a cinque anni di carcere a Gaeta. Alla fine ne scontò solo tre. Durante il periodo in carcere conobbe alcuni comunisti con i quali si confronta fino ad accettare e condividere le loro idee. Mio padre in carcere diventa comunista. Ed io aggiungo sempre “OVVIAMENTE!” visto che a quei tempi nelle carceri c’erano solo i comunisti.
Quando la famiglia comincia attivamente l’attività antifascista?
Quando mio padre ritorna a casa dopo i tre anni di carcere a Gaeta siamo nel ’33. Giunto nuovamente a casa comincia a parlare con i suoi fratelli. Legge e fa leggere il Manifesto del Partito Comunista, il Capitale di Marx. Poi legge Stato e Rivoluzione di Lenin, s’innamora della Rivoluzione d’ottobre e diventa il suo messaggio politico. Poi comincia a organizzare le prime cellule del partito comunista nella campagna reggiana. Insieme ai suoi fratelli e compagni crea i primi strumenti di diffusione di propaganda comunista clandestina. E cosi fino agli anni ’40 continua quest’attività dell’intera famiglia Cervi.
Chi erano quelli che erano più impegnati politicamente con tuo padre?
Era mio nonno e lo zio Gelindo. Ovviamente erano sempre molto attenti quando facevano politica clandestinamente. Per non dare nell’occhio, durante tutto il giorno lavoravano la terra e si facevano vedere nei campi. La lotta antifascista continuò praticamente in tutto il decennio degli anni ’30. La famiglia nel frattempo si mette in contatto con altre persone che erano interessate a lottare. Mi raccontavano che mio padre e lo zio Gelindo contattavano gli altri contadini direttamente sul lavoro. Andavano da loro e mentre falciavano l’erba e zappavano facevano la riunione politica. Ci si doveva inventare dei sistemi di riunione alternativi per fare politica.
E dove si riunivano generalmente?
Si riunivano clandestinamente in certe case o nelle stalle facendo finta di giocare a briscola. A proposito della briscola, quando si giocava mio nonno s’innervosiva sempre con il suo amico di gioco quando perdeva, e non voleva mai perdere.
E com’era tuo nonno?
Mio nonno è sempre rimasto un cattolico, anche se dopo l’uccisione dei suoi figli diventa un comunista cattolico. Durante la sua conversione alle idee socialiste cominciava a sostenere che Gesù Cristo fosse stato il primo socialista della storia. E’ morto all’età di 95 anni ed è stato anche assessore ai cimiteri con il Partito Comunista.
Alcide Cervi (1875 - 1970)
Alcide Cervi (1875 - 1970). 

Riprendiamo a parlare dell’attività politica di tuo padre e dei tuoi zii.
Come ti dicevo l’attività clandestina va avanti per tutti gli anni ’30 senza grandi problemi, nel senso che non erano molto controllati in quanto la famiglia era vista come un nucleo di cattolici dediti alla terra. Inoltre, erano anche molto bravi a non farsi scoprire. Per esempio nessuno sapeva dell’esistenza della stampa che era nascosta sotto terra nella stalla con la quale si stampavano i volantini per la propaganda antifascista. Per parecchio tempo hanno continuato le loro attività senza avere nessun controllo.
Quando cominciano ad avere problemi con le autorità fasciste?
Dal 25 luglio del 1943. In questa data Mussolini fu destituito dal Consiglio Nazionale del Fascismo e la mia famiglia festeggiò in piazza con gli altri la caduta del fascismo. Il nonno e i suoi figli prepararono quintali di pasta che portarono nella piazza del paese. Questo è l’episodio che li mise in luce rispetto all’attività clandestina precedente. Da quel momento in poi vennero inseriti nella lista degli antifascisti attivi e pericolosi.
E cosa succede dopo?
Poi arriva l’8 settembre la nostra casa diventa un luogo di rifugio. In casa passano almeno 15 – 20 persone al giorno. Dall’ 8 settembre ci passeranno almeno un centinaio di persone. Dopo mio padre si arruola al gruppo partigiano con alcuni amici come Dante Castellucci che farà una brutta fine poverino. Mio padre, insieme al fratello Gelindo, passano alla lotta armata nella zona di Tapignola.
Conversando con Adelmo Cervi
Io ed Adelmo Cervi. 
Quanto dura l'attività di lotta armata?
Dal mese di ottobre fino al 20 di novembre del ’43 quando poi li arrestano. Praticamente fu un mese di fuoco.
Come si arriva alla cattura?
Come ti dicevo dopo l’8 settembre i miei zii vengono marchiati come antifascisti. Da quel momento comincia il controllo più rigido delle autorità del fascio di Reggio Emilia. Sapevano anche che mio padre era nella lotta armata partigiana e che ritornava dopo le 10 di sera. La famiglia non se n’era accorta di questo duro controllo. E cosi arriviamo al giorno della cattura. Mio padre era appena tornato dalla montagna alle 22,30 più o meno. Quella notte verso le quattro arrivano 3 – 4 camion da Reggio Emilia con 100 – 150 fascisti e iniziano a rastrellare la zona, circondano la casa e cominciano a sparare.
Ci fu resistenza da parte della Famiglia Cervi?
Ci fu una breve resistenza però a un certo punto decisero di uscire anche perché stavano dando fuoco la casa e soprattutto c’erano i bambini piccoli. Io avevo tre mesi quando vennero a prendere papà e gli altri. E cosi, fu una resa obbligata. Dopo li portano tutti a Reggio. Mio nonno andò con loro.
Cosa successe durante la prigionia?
Restarono un tempo in prigione e durante la prigionia fu programmata anche la liberazione da parte di un gruppo di partigiani della zona.  Avevano scelto la vigilia di Natale come giorno d’azione perché c’era meno controllo nelle carceri. La notte del 25 dicembre però ci fu un disguido e l’azione non avvenne.  Si volle spostare l’azione la notte di capodanno, ma nel frattempo successe qualcosa che cambiò la situazione. Tra il 25 e il 31 dicembre fu ucciso, nelle campagne di Bagnolo, un fascista e cosi si riunì il Consiglio del Fascismo a Reggio e decise di dar una risposta al movimento. La risposta fu quella di mettere fine alla vita dei 7 fratelli Cervi. La notte del 28 dicembre vengono portati al poligono di tiro di Reggio Emilia e vengono uccisi.
*L’intervista è stata realizzata nel mese di giugno del 2013 durante un viaggio in bus da Bologna a Milano insieme ad alcuni compagni/e.
Pubblicato in:

Un italiano en la historia del rock ecuatoriano.


Un italiano en la historia del rock ecuatoriano. Entrevista a Federico Rossi.

Pubblicato il 23 maggio 2017 en QUITO LATINO
Entrevista realizada por Davide Matrone
El bajista italiano Federico Rossi
Recientemente ha abierto sus puertas un nuevo local en Quito, un bar que se llama 1865. Ambiente acogedor, buena música, rica cerveza. Pero este bar tiene una particularidad: sus paredes están forradas con discos, posters, afiches, guitarras, camisetas, todos objetos que han pertenecido a muchas bandas de rock ecuatorianas. De hecho, es el nuevo museo del rock ecuatoriano, un bar que rinde homenaje a las principales bandas del rock hecho en Ecuador.  Bandas como Cruks en KarnakMuscariaGuardarraya, encuentran su merecido tributo en este sitio. Entre cervezas y charlas entre amigos descubro con sorpresa que entre todos estos artistas hay un italiano. Federico Rossi, originario de la ciudad de Crema en la provincia de Cremona, es el bajista de Curare, la banda que se caracteriza por fusionar el rock con ritmos típicos de la música andina. Federico vive aquí en Ecuador desde hace 20 años y ha aceptado encontrarme y contarme su experiencia en el mundo musical ecuatoriano.


¿Cómo te sientes al ser el único italiano en la historia del rock ecuatoriano?
Es un honor sin duda ser parte de un proyecto musical tan importante como lo es Curare, dejar una huella, aunque mínima en la historia musical de un país es realmente emocionante. Curioso al mismo tiempo, porque Curare fusiona el rock con ritmos típicamente andinos, se cataloga como Folk-Rock, y que un italiano integre una de las principales propuestas de rescate y defensa de la música folklórica nacional (dentro del mundo del rock es la más importante) es algo por lo cual me siento honrado y profundamente agradecido.

Después de tantos años en Ecuador, ¿cómo mantienes vivas tus raíces italianas?
El hecho de que yo luzca tan integrado y comprometido con la cultura ecuatoriana no significa que haya perdido mis orígenes. Tus raíces nunca mueren. Por más que uno viva tantos años en otro país no pierde su identidad cultural. Pero considero que, como parte del crecimiento de una persona, es importante mirarse alrededor y adaptarse a un nuevo ambiente, vivirlo y respetarlo. Es una forma de respetar el ser humano en su totalidad y al mismo tiempo respetar y agradecer el país que te acoge y te regala oportunidades que tal vez en tu país de nacimiento no habrías tenido. No concuerdo con muchos extranjeros, incluso muchos italianos, que consideran su cultura como “superior”. No existen culturas superiores a otras, sino diferentes, y una persona inteligente sabe y debe aceptarlas y respetarlas para aprender de ellas, sin necesariamente perder o renunciar a la propia.
¿Cuáles son tus influencias musicales?
Básicamente los cantautores italianos y el rock clásico. Las vertientes que cada uno tiene, tanto en casa, en familia, y afuera con los amigos. En mi casa he crecido escuchando cantautores italianos como De GregoriBattistiBennato, luego he descubierto Guccini y De André. Obviamente pertenezco a la generación que ha crecido con Vasco Rossi. En cuanto al rock clásico las influencias más fuertes para mí siempre fueron Led Zeppelin y Pink Floyd, pero también el punk de The Clash y, como buen noventero, el Grunge.

¿Qué es el rock para ti?
El rock para mí no es un género musical, es una forma de ver y vivir la vida. En los ’60 nació como movimiento de contra-cultura, significaba ir en contra de lo establecido por el sistema y cambiar las cosas. Con los años el concepto se ha distorsionado un poco y ahora muchos lo relacionan solamente con el metal, con el pelo largo y vestirse de negro. No es así. Apegándose a esos clichés uno cae en la misma visión social conservadora que, supuestamente, el rock quiere cambiar. Por ejemplo, hay personas que critican Curare por tocar rock con instrumentos andinos, es decir, “no rockeros”. Esas personas demuestran la ignorancia de quien dice ser rockero pero es más conservador que nuestros abuelos. La mente abierta es un requisito fundamental para la vida en general y si uno quiere definirse rockero, aún más.
CURARE
¿Cómo empezó tu camino en el mundo musical?
Empecé a tocar la guitarra en Italia, en los años 90. Tocaba en un grupo de mi ciudad que se llamaba Esodo. Hacíamos covers de música italiana de protesta. Luego nuestro bajista se fue y llegó un guitarrista más hábil que yo, así que me “propusieron” pasarme al bajo. Es un poco la historia del comienzo de muchos bajistas: el que peor toca la guitarra se va al bajo (risas). Es un clásico entre un grupo de jóvenes que quiere formar una banda. El bajo me gustó enseguida. Luego vine aquí al Ecuador y tuve la posibilidad de estudiar música en conservatorios privados y con excelentes profesores particulares (uno entre todos Marcelo Aguilar, quien fue bajista de Contravía). El bajo en realidad es un instrumento esencial dentro de un conjunto musical, sus características permiten enlazar la parte armónico-melódica con la parte de las percusiones, un rol fundamental para el producto final que llega al público. Tal vez por sus frecuencias bajas resulta poco evidente, pero si faltara entonces la canción no tendría cuerpo. Así que, si entre los principiantes el bajo resulta ser un instrumento de segundo plano, esa es una gran mentira.

¿Cuál fue tu recorrido musical en Ecuador?
Viví en la ciudad de Cayambe por diez años y frecuentaba mucho la parte norte del país. Mi primera experiencia musical aquí en Ecuador fue en la ciudad de Ibarra con un grupo que se llamaba Magma. Luego en Cayambe un grupo que se llamaba Moby Dick. Hacíamos covers de rock clásico. Después, aun viviendo en Cayambe, empecé a frecuentar Quito y entré a la agrupación Mosquitas Muertas, con Juan Pablo Rosales y David Rosales, los que luego darían vida a Curare. De hecho, se puede decir que las Mosquitas Muertas fueron el embrión de Curare. Recuerdo que con las Mosquitas empezamos a fusionar el rock con ritmos andinos, teníamos un cover de una canción de Inti Illimani, hecha a nuestra manera. Esos eran los años en los que estudiaba música y recuerdo que quedé impresionado por los ritmos latinos como la salsa y el son. Claro, como buen europeo. Ahí fue cuando decidí seguir mis instintos musicales y continuar explorando los ritmos latinos, para mí una nueva dimensión, extraña y fascinante.
A principio del nuevo milenio tocaba en un grupo llamado More Zu, tocábamos rock con fuertes influencias latinas. Cuando vine a vivir aquí en Quito me convertí enseguida en músico de bares, tocando todo tipo de repertorio, desde lo bailable al jazz, y tuve la oportunidad de integrar las bandas de algunos importantes artistas de la escena pop-rock como, entre otros, Johanna Carreño, The Covers Duo y Fernando Pacheco.
Hace un año volví a juntarme con Juan Pablo y David en Curare, un verdadero privilegio ya que encontré una banda con una trayectoria de 15 años, madura y totalmente posicionada en la escena rock del país.
Actualmente, aparte de Curare, participo en otros proyectos musicales, como Iluman y Al Vortex. Y no podía faltar la música italiana: desde hace algunos años toco con los Carbonari, un grupo de música italiana compuesto en su mayoría por músicos italianos radicados aquí en Quito.

¿Fue difícil para ti adaptarte al mundo musical ecuatoriano?
Me considero una persona curiosa y adaptable, lo demuestra el hecho de que domino bastante bien el idioma español, tanto que muchos ecuatorianos a veces no captan el hecho de que sea extranjero. Creo que lo fácil o lo díficil en adaptarse a un ambiente nuevo o a una nueva cultura dependa totalmente de la actitud con la que se la efrenta. No, para mí no fue díficil. Además, encontré muy buenos amigos que hicieron el camino mucho más fácil y divertido.


miércoles, 22 de abril de 2020

Italia: covid-19, neoliberalismo y apropiación del sujeto


Italia: covid-19, neoliberalismo y apropiación del sujeto

Martes 17 de marzo de 2020

El paradigma neoliberal, en boga durante décadas, fracasó. Desmanteló y destruyó el estado de bienestar que existía en los últimos años con el modelo keynesiano (en aplicación desde 1945 hasta 1974/75). La reducción permanente del gasto público (que tenía que racionalizarse, pero no reducirse hasta el hueso) ha tenido consecuencias nefastas en el campo educativo y de la salud.
Desde la década de 1980, los procesos de privatización han progresado de manera constante, el gasto social ha disminuido cada año y sólo los trabajadores lo han pagado. Italia ha gastado demasiado en defensa en los últimos años - 25 mil millones de euros al año -, más que otros países de la OTAN como: Alemania, España y Canadá. De 2006 a 2018, el aumento ascendió a + 88% (fuentes del Observatorio Milex).  
Esta tendencia positiva es, en realidad, negativa para la salud pública, que pierde importantes cuotas de mercado hacia la salud privada (en particular en el norte de Italia). Según los datos de Censis, de 2013 a 2018 los gastos privados para las familias aumentaron en + 10%. Si agregamos que en el mismo período no hubo aumentos salariales, el gasto pesa aún más en las mismas familias (especialmente con las que tienen un sólo ingreso).
Con esta situación y con el avance de la pandemia del coronavirus, con un sistema de salud pública más fuerte, ¿se podía resistir más y mejor el avance de la infección? y ¿de qué manera?
Otro elemento que surge en estos días es la sujeción del gobierno Conte a la posición adoptada por Confindustria que, a pesar de las prohibiciones, requiere que los trabajadores estén en sus trabajos en nombre de las ganancias. El neoliberalismo también es esto y no olvida la aplicación de la inhumanidad. Esto nos muestra el desequilibrio neto de las relaciones de fuerza entre trabajo y capital que se inclinan hacia el segundo.
En el campo social da cuenta de comportamientos que consideramos absurdos, inaceptables, sin gloria, dementes, inhumanos (el término regresa). A pesar de las prohibiciones, es difícil respetarlas y no se entiende que la gente tenga que quedarse en casa. Hay una necesidad de autoridad. Necesitamos al policía debajo de la casa. ¿Por qué? ¿Preguntamos? ¿Nos preguntamos? ¿Es solo imbecilidad? ¿Torpeza? o ¿Hay algo más? Bueno, en realidad tiene una estrecha relación con el primer punto expuesto: el modelo neoliberal.
Este último no solo afecta a la esfera económica y política, ¡no! El paradigma neoliberal ha construido otro sujeto, lo ha hecho propio. Marx en sus escritos decía que el capitalista de la revolución industrial de la época estaba extrayendo una parte extra del trabajador: la plusvalía. El neocapitalismo y su versión neoliberal no está satisfecho con la plusvalía, quiere todo de él: es la captura de la subjetividad. El neoliberalismo toma posesión de todos los aspectos de la vida cultural del sujeto. Se apropia de las relaciones sociales, de amistad, familiares, de comunicación y de justicia.
La “Dama de Hierro”, Margaret Thatcher afirmaba: “El mercado es el método, ¡el objetivo es el alma!”. En los últimos 40 años, el modelo neoliberal ha construido y moldeado gradualmente un tema sujeto que es cada vez más individualista, consumista, egoísta, inseguro, mercantilista, insociable, temeroso. Por lo tanto, cada vez menos altruista, generoso, comunitario, solidario, seguro y fraterno.
En primer lugar, la libertad individual. Entonces, ¿qué podemos esperar? En los últimos 30 años Italia ha absorbido, a través del aparato ideológico del Estado, mensajes que han dado forma al sujeto con las características mencionadas anteriormente.
Los medios privados (y no) han ofrecido los siguientes programas 24/7 y todo el mes durante años y décadas enteras: concursos de premios para tener éxito y dinero de inmediato, reality shows que exponen a la audiencia una la realidad basada en los valores liberales y burgueses, el ser empresarios de uno mismo ("emprendimientos", auto explotación), el tener miedo y desconfianza del prójimo y terror del extranjero.
Podemos leer muchas publicaciones y comentarios en Facebook y en las redes sobre la "estupidez" de los italianos, sobre su comportamiento incomprensible. Muchos escribieron y dijeron: "¡Estamos haciendo lo peor de nosotros!". En mi opinión, es el resultado de décadas de neoliberalismo que se ha apropiado de su subjetividad, como dije antes. Quién sabe, tal vez con este Coronavirus entenderemos algo o tal vez no.
Mientras tanto, probemos este ejercicio: leamos entre líneas, analicemos los fenómenos, dudemos constantemente y tratemos de generar respuestas para problematizar los procesos reales de nuestra sociedad. Hagámoslo según el método socrático dialéctico como investigación de la verdad. Para hacer todo esto hay una herramienta muy efectiva: estudiar y leer.

Publicado en:

martes, 21 de abril de 2020

Leonidas Proaño


Leonidas Proaño: un hombre sencillo y devoto a los pobres
Martes 10 de septiembre de 2019



“Un mal agosto nuestro sol, a medio día anocheció, detrás de llanto y el amén, debimos despedirnos de él” [1]Así recita un verso de la canción “el hermano colibrí” del cantante ecuatoriano Jaime Guevara que homenajeó al Obispo de los pobres.
Leonidas Proaño murió el amanecer del 31 de agosto del 1988 a la edad de 78 años en la ciudad de Quito. Luego de funerales en Riobamba y en Ibarra, fue enterrado en la localidad de Pucahuaico[2] cerca de San Antonio de Ibarra.
En este lugar sigue reposando en la silenciosa capilla de una pequeña comunidad indígena, asentada a los pies del Taita Imbabura, cerca de una quebrada. La capilla es muy sencilla y llena de paz. Una sencillez hecha de detalles muy llamativos como los ocho vitrales [3] que refiguran a líderes indígenas de la historia de Ecuador: Atahualpa, Rumiñawi, Jumandi, Daquilema, Manuela León, Joaquín Andrade, Dolores Cacuango y Lázaro Condo.
Los orígenes de Leonidas Proaño son muy humildes. Nació en el año 1910 en la provincia de Imbabura en una casita muy pequeña y pobre. Sus padres le enseñaron valores como la honestidad, el sacrificio y la verdad. Cuenta en su autobiografía: “Soy hijo de familia pobre…teníamos que trabajar, por lo mismo que éramos pobres”. [4] Una familia pobre sin muchos recursos no podía soñar en grandezas porque los recursos eran muy modestos.
En su adolescencia y juventud “Eduardito”[5] también maduró el deseo de ser pintor. “Mi sueño era ser pintor” así se lo expliqué al párroco. “Mis padres ya lo sabían”[6]. A pesar de su deseo juvenil, la vida le dio otro rumbo y pronto Eduardito tuvo que optar por la vida religiosa. Fue consagrado sacerdote en el año 1936, y en el mes de mayo del año 1954 toma posesión del Obispado de Riobamba.
Acá, en esta provincia del país, comienza su trabajo de evangelización. La evangelización de Proaño ha sido liberadora por dos razones: a) porque parte de las realidades de injusticia y opresión de los pobres y les abre los ojos, les une y organiza y les enseña a caminar en búsqueda de liberación, y b) porque debe producir cambios no solo a nivel personal, sino de manera integral.[7]
En su proceso de concientización y liberación de los condenados de la tierra, nunca se olvidó su proveniencia. Vivió en un humilde hogar en la localidad de Santa Cruz, se despojó de sus pocas pertenencias. Se puso el poncho rojo, caminó con sus “zapatos de charol” por las comunidades y juntos a sus colaboradores trabajó para la liberación integral de las personas.
El padre belga José Comblin, que lo visitó muchas veces en Santa Cruz decía: “Monseñor aprendió a vivir con la mayor sencillez, sin nada de bienes de consumo, en una verdadera pobreza. Aprendió a ponerse también él a la altura del pueblo indígena. Tenía una pequeña habitación en la casa de retiro”[8].
Se despidió de nosotros en un día de verano. En los últimos dos años, antes de partir, recibió varios reconocimientos a nivel internacional y nacional. Este detalle testimonia el peso del inmenso trabajo realizado en su vida. Recibió el Premio de la Fundación Bruno Kreisky para los Derechos Humanos en Austria. En Estados Unidos le fue otorgado el Premio Rothko en la ciudad de Houston y finalmente en la Universidad del Saarland en Alemania le fue otorgado un Doctorado Honoris Causa. En Ecuador recibió el “Doctor Honoris Causa” entregado por la Escuela Politécnica Nacional.
En los testimonios recogidos en mis años de estudio sobre Proaño, llegué a la conclusión que el Obispo de Riobamba era una persona silenciosa y muy modesta y no amaba que lo celebraran. Los premios recibidos los aceptó con satisfacción, pero sin exhibirlos como algo personal. Con orgullo y satisfacción sostenía: “Los indígenas me han enseñado y todo lo que sé lo he aprendido en la cantera del pueblo, mi universidad ha sido el pueblo”.

Bibliografía
Matrone, Davide. 2015. Mi sueño era ser pintor. Faceta inédita de Mons. Leonidas Proaño a los 25 años de su Pascua. Abya Yala - UPS. Quito.
Proaño, Leonidas. 2001. Creo en el hombre y en la comunidad. Autobiografía.  Corporación Editora Nacional. Quito
Rosner, Enrique. 2010. Leonidas, el amigo. 12 reportaje-testimonios para una biografía contada de Mons. Leonidas Proaño. Fondo Documental Diocesano Riobamba.
[1] “Mi sueño era ser pintor. Faceta inédita de Monseñor Leonidas Proaño a los 25 años de su Pascua”, 2015. Quito, Abya Yala – UPS.
[2] Nombre compuesto de dos palabras quichuas: Puka (Rojo) y Huaico (Quebrada).
[3] Los vitrales fueron realizados por el artista lojano, Oswaldo Mora Anda
[4] En “Creo en el hombre y en la comunidad”
[5] Así lo llamaban en su casa.
[6] Testimonio de Nelly Arrobo Rodas en “Mi sueño era ser pintor”
[7] Testimonio del Monseñor Víctor Corral en “mensaje liberador de Monseñor Leonidas Proaño. file:///C:/Users/user/Downloads/Dialnet-MensajeLiberadorDeMonsenorLeonidasProano-5968349%20(1).pdf
[8] Testimonio de Padre José Comblin en “Leonidas, el amigo. 12 reportaje-testimonios para una biografía contada de Mons. Leonidas Proaño”. Fondo Documental Diocesano Riobamba.

Publicado en: 

lunes, 20 de abril de 2020

Schiavitù in Ecuador. Il caso Furukawa


Schiavitù moderna in Ecuador. Il caso Furukawa


 
Lo scorso mese di ottobre scatta la denuncia da parte di alcuni lavoratori e lavoratrici della Compagnia di Piantagioni Furukawa S.A.

Secondo le dichiarazioni dei lavoratori ci sarebbero una serie di infrazioni commesse dall’impresa.

Dopo la denuncia fatta alla Defensoría del Pueblo, il Ministero del Lavoro realizza diverse ispezioni riscontrando molte irregolarita’ nei 18 stabilimenti sui 23 esistenti. Si registrano 31 casi di inadempienze come: sfruttamento minorile, condizioni disumane nei luoghi di lavoro, mancanza di acqua potabile e luce elettrica nei luoghi di residenza e lavoro, violazione dei diritti dei lavoratori, mancanza di contratto regolare, violazione dei diritti umani, mancanza di versamenti alla Previdenza Sociale e mancanza di qualsiasi sistema di sicurezza negli stabilimenti della Compagnia di Piantagioni.

L’impresa Furukawa e’ presente in Ecuador dal 1963 e produce fibra de abaca (piantagione simile alla banana) che serve a realizzare della carta speciale. La Compagnia di piantagioni possiede migliaia di ettari di terreno in alcune regioni del paese come: Los Rios, Esmeraldas e Santo Domingo de los Tsachilas. Da quest’ultimo territorio, sorgono le lamentele e le denunce dei lavoratori che coraggiosamente denunciano le gravi inadempienze dell’impresa realizzate da oltre 5 decenni.

L’Ecuador e’ il secondo maggior esportatore al mondo di fibra di abaca. Questo prodotto viene esportato prevalentemente in Cina e in Inghilterra. La produzione genera molti introiti ogni anno che si quantifica in molti milioni di dollari. A beneficiarne sono le seguenti imprese: Cooperativa Abacá Ecuador (CAE), Furukawa, Evans e Avaudesa. Nell’anno 2017, la Compagnia Furukawa ha dichiarato un fatturato pari a 9 milioni dollari.

L’impresa, dopo le denunce dei lavoratori e le ispezioni del Ministero del Lavoro, ha dovuto sospendere la produzione per due mesi, con l’intento di regolarizzare la sua posizione. Inoltre, dovra’ pagare una multa di 42.880 dollari statunitensi come parte delle Risoluzioni di Sanzioni disposte dalle Direzioni Regionali del Ministero del Lavoro di Portoviejo e Guayaquil.

Secondo Francisco Hurtado, rappresentante dei Diritti Umani presso la Defensoría del Pueblo, ci sono casi di sfruttamento di lavoro minorile. “C’e’ una testimonianza di una persona che ha cominciato a lavorare quando aveva otto anni, giunse con sua madre, ed ora ha 33 anni e continua a lavorare per quest’impresa”.

Secondo la denuncia avanzata dalla Defensoría del Pueblo sarebbero coinvolti 450 lavoratori, anche se vengono nominati dall’impresa solo 198 lavoratori diretti.

Quanto accaduto a Santo Domingo de los Tsachilas (regione in cui ha sede l’impresa Furukawa) e’ anticostituzionale, cosi come viene stabilito dagli art. 327, 328, 329, 330, 331 e 332 della Costituzione dell’Ecuador.

Nell’articolo 327 si dichiara:
  • Si proibisce qualsiasi forma di precarizzazione come l’intermediazione lavorativa e la terziarizzazione nella attivita’ proprie e abituali dell’impresa o del datore di lavoro, il contratto di lavoro ad ore, o qualsiasi forma che leda i diritti delle persone lavoratrici in forma individuale o collettiva. L’incompimento di tali obbligazioni, il fraude, la simulazione e l’arricchimento ingiusto in materia lavorativa verra’ penalizzato e sanzionato secondo la legge.

Intanto, altre organizzazioni hanno solidarizzato coi lavoratori e le lavoratrici ed hanno cominciato una serie di attivitá in difesa dei soggetti ineressati. La Commissione Ecumenica dei Diritti Umani (CEDHU) e il Centro dei Diritti Economici e Sociali (CDES) hanno chiamato la cittadinanza a una raccolta di fondi economici e alimentari per le famiglie dei lavoratori e hanno fatto pressioni  sulle autorita’ del paese affinché vengano indennizzate le persone colpite.

Non tutti sono d’accordo con la sospensione temporanea delle attivita’ dell’impresa, anzi: “Un’impresa che ha violato i Diritti non dovrebbe avere il permesso di operare nel paese” ha dichiarato David Suarez del Centro dei Diritti Economici e Sociali.

Pubblicato in: 

domingo, 19 de abril de 2020

Los cuadernos de la cárcel de Antonio Gramsci


70 años de los cuadernos de la cárcel de Antonio Gramsci
Antonio Gramsci (1891 - 1937)

Martes 6 de agosto de 2019
Hace setenta años Gramsci empieza a redactar los Cuadernos de la cárcel. Es el 8 de febrero de 1929 cuando el pensador italiano escribe sus primeras líneas de la obra intelectual más importante de su vida. Lo hace desde la cárcel de Turi (Bari), en dónde escribirá la mayoría de los cuadernos[1].
Para Gramsci, no fue fácil poder plasmar sus reflexiones en papel durante su largo y tortuoso peregrinaje carcelario[2]. El permiso para escribir le fue concedido sólo dos años y tres meses después de su privación de libertad. Luchó por mucho tiempo para conseguir libros, pluma y tinta.
Antes de poder escribir, insistió para que pudiera también leer. Algunos días después de ser encarcelado en Regina Coeli[3] escribe su primera carta a la dueña de su departamento pidiéndole – entre otras cosas – el envío de tres libros: La gramática alemana, el breviario de Lingüística de Bertoni y Bartali, y una Divina Commedia. Los tres libros pedidos respondían – desde un principio – a la necesidad vital de poder sobrevivir al embrutecimiento de la cárcel. Tres meses después escribe a su amigo Sraffa, desde Ustica, pidiéndole que le enviara unos libros[4]Sraffa abre en favor del amigo Antonio una cuenta ilimitada en la librería de Milán “Sperling y Kupfer”.[5]
Sus adversarios políticos sabían muy bien que el cerebro del marxista sardo era muy fructífero y peligroso para el régimen fascista de Benito Mussolini. El fiscal[6] que lo condenó declaró: “Durante veinte años debemos impedir funcionar a ese cerebro”. Gramsci fue condenado a 20 años, 4 meses y 5 días de reclusión. A pesar de la dura condena, de sus precarias condiciones de salud, del aislamiento en la cárcel y de la persecución fascista, el secretario general del Partido Comunista Italiano nunca dejó de hacer funcionar su cerebro. Llegará a escribir 3000 páginas.
Lo cuadernos salieron a la luz sólo después de la II Guerra Mundial y gracias a la perseverancia y tenacidad de tres personas en particular: Tania Schucht[7], Piero Sraffa[8] y Palmiro Togliatti[9]Sin duda, el aporte de Gustavo Trombetti[10], fue determinante para que los cuadernos salieran de la cárcel sin ser secuestrados por las autoridades fascistas.
Gramsci, sin duda, es uno de los teóricos marxistas más influyentes de los últimos 70 años. Entre sus aportes debemos señalar la reformulación de los conceptos fundamentales de la teoría política marxista, a la luz de la fase revolucionaria del movimiento obrero italiano[11], en la realidad política y económica de los principios del siglo XX. Con otro pensador crítico y marxista de su época, el húngaro Georg Lukács, tuvo en común un frente que combatir, es decir: el revisionismo de la II Internacional. Ambos criticaban la incongruencia que se registraba entre los movimientos revolucionarios obreros y la posición en favor de la I Guerra Mundial de algunos partidos socialistas europeos. Los planteamientos teóricos gramscianos son innovadores y profundos. El mismo Lukács, que estudió al pensador italiano, confesará: “Gramsci era el mejor de nosotros”.
La obra del político italiano empezó a hacerse conocer en Italia por los años ’50 y de ahí dio su recorrido por el mundo. En el transcurso del tiempo sobrepasará fronteras, su reflexión adquirió dimensiones internacionales y no solamente para los analistas de la izquierda revolucionaria mundial, sino llegará a influir corrientes teóricas como la teología de la liberación, la pedagogía crítica de Paulo Freire y los estudios culturales de la Escuela de Birmingham.  
En América Latina algunos intelectuales locales no acogieron de manera favorable el pensamiento de Gramsci en la mitad del siglo XX. En el caso ecuatoriano por ejemplo, los intelectuales Agustín Cueva y Alejandro Moreano criticaron a Gramsci, argumentando su uso socialdemócrata al valorar la democracia en el marco de la lucha contra los gobiernos dictatoriales[12].
A pesar de las dificultades y de las críticas póstumas que surgieron adentro del mismo movimiento revolucionario marxista internacional, a setenta años de la elaboración del I Cuaderno de la cárcel, el pensamiento gramsciano sigue siendo estudiado, analizado y reinterpretado por los teóricos de los movimientos revolucionarios de todo el mundo.
Referencias:
Belaval, Yvon. 1974. Historia de la Filosofía. Las filosofías nacionales de los siglos XIX y XX, España: Siglo Veintiuno.
Lo Piparo, Franco. 2014. Il Professore Gramsci e Wittgenestein. Il linguaggio e il potere, Roma: Donzelli Editore
Mordenti, Raul. 1996. Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci. Edizioni Letteratura Italiana Einaudi. Torino
Santucci, Antonio. 1996. Gramsci. Torino: Edizione Newton Tascabili
Kohan, Néstor. 2013. Gramsci. Venezuela: Ocean Sur
Ortiz, Santiago. 2018. ¿Por qué Gramsci no llegó a Ecuador? https://lalineadefuego.info/2018/05/15/por-que-gramsci-no-llego-a-ecuador-por-santiago-ortiz/
[1] Desde el de febrero de 1929 hasta al 17 de noviembre de 1933 en la cárcel de Turi, y desde el 7 de diciembre de 1933 hasta al mes de agosto de 1935 en la cárcel de Formia.
[2] Gramsci peregrinará en 14 cárceles italianas (Roma, Civitavecchia, Ustica, Napoli, Milano, Turi, Palermo, Caianiello, Isernia, Sulmona, Formia, Castellamare Adriatica, Ancona y Bologna)
[3] El 8 de noviembre de 1926.
[4] La carta fue escrita el 11 de diciembre de 1926.
[5] El día 22 de diciembre Gramsci recibirá los libros que Sraffa se enviará. Gramsci lo agradece en otras dos cartas que enviará a su amigo en las fechas del 22 de diciembre y en la fecha del 2 de enero de 1927.
[6] Michele Isgro
[7] La cuñada de Antonio Gramsci
[8] Economista y amigo de Antonio Gramsci
[9] secretario político del Partido Comunista Italiano.
[10] Compañero de prisión de Gramsci en la cárcel de Turi. Trombetti escondió los cuadernos en un baúl antes de ser enviados a los familiares del detenido. El acontecimiento se dio antes del traslado del detenido Gramsci de la cárcel de Turi hacia a la cárcel de Formia.
[11] Durante el “biennio rosso” 1919 – 1921 se agudiza el proceso revolucionario del movimiento obrero italiano del Norte de Italia con el incremento de las ocupaciones de las fábricas y de las huelgas.
[12] Ortiz, Santiago. 2018. ¿Por qué Gramsci no llegó a Ecuador? En Lalineadefuego.info https://lalineadefuego.info/2018/05/15/por-que-gramsci-no-llego-a-ecuador-por-santiago-ortiz/