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lunes, 30 de mayo de 2022

Ola Bini, un caso anomalo della giustizia.

 L'ULTIMA


Ola Bini, un caso anomalo della giustizia

INTERVISTA. Il giornalista Diego Cazar Baquero ripercorre la storia dell’informatico svedese che vive in Ecuador: è stato arrestato ed è sotto processo soprattutto perché amico di Julian Assange.


Il caso Julian Assange è tornato alla ribalta lo scorso 20 aprile quando le autorità giudiziarie britanniche hanno concesso il via libera all’estradizione del giornalista australiano verso gli Stati Uniti. Il suo è fra i più controversi casi della giustizia contemporanea e coinvolge diverse persone «intrappolate» in una persecuzione giudiziaria e mediatica senza precedenti: chi ha lavorato con WikiLeaks e/o è amico di Assange è infatti sottoposto a pressioni di ogni genere. Tra questi, c’è l’informatico svedese Ola Bini che vive in Ecuador dal 2013 e si definisce un difensore del software libero e della privacy.
Bini e Assange sono amici da lungo tempo e si sono incontrati almeno dieci volte all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, durante l’esilio del giornalista, dal 2012 al 2019. La storia giudiziaria di entrambi è profondamente intrecciata. Nello stesso giorno, ossia l’11 aprile del 2019, in cui il governo di Lenín Moreno ha negato l’asilo politico ad Assange (che poi sarà arrestato in Inghilterra), Ola Bini finisce detenuto a Quito.
Le autorità ecuadoregne hanno perquisito la sede del Centro di autonomia digitale (Cad) diretto da Ola Bini, a Quito. Il Cad è un’organizzazione senza fine di lucro fondata nel 2017 nella città di São Paulo in Brasile con l’obiettivo di sviluppare strumenti per la protezione della privacy per utenti del mondo della cibernetica. Nel 2019 venne aperta una sede nella capitale dell’Ecuador e Bini ne perse le redini. Ad aiutarci a sbrogliare la matassa, è il giornalista ecuadoregno, Diego Cazar Baquero, al timone della rivista digitale La Barra Espaciadora, che da anni si interessa al caso.

Il giornalista ecuadoregno, Diego Cazar Baquero

Cosa sta succedendo nuovamente all’informatico Bini?
Seguo la sua storia giudiziaria sin dall’inizio e sto scrivendo un libro. La sua storia può riassumersi in un processo di politicizzazione della giustizia dal momento dell’espulsione di Julian Assange dall’ambasciata dell’Ecuador, a Londra. L’allora governo di Lenín Moreno approfittò della situazione, attraverso la ministra degli interni María Paula Romo, per allontanare Assange e poi far arrestare il cittadino e programmatore svedese Ola Bini, associandolo al primo per la loro amicizia. Alle 10 dell’11 aprile del 2019, la ministra Romo durante una conferenza stampa dichiarò: «Da vari anni vive in Ecuador uno dei membri chiave dell’organizzazione WikiLeaks, una persona molto vicina a Julian Assange. Abbiamo prove sufficienti che abbia collaborato in tentativi di destabilizzazione contro il governo. Inoltre, abbiamo dati ed ubicazione che verranno consegnati alla magistratura di due hacker russi che vivono in Ecuador».
Durante l’incontro, la ministra non nominò mai Bini, tuttavia gli agenti della polizia erano tutti indirizzati verso il programmatore svedese che intanto si stava dirigendo all’aeroporto di Quito (doveva andare in Giappone per un allenamento di arti marziali). La sua detenzione – che scattò quel giorno stesso – non fu sostanziata da nessun ordine giudiziario. Di qui in avanti, cominciarono una serie di irregolarità. Uno degli elementi principali controversi è stata una chiamata anonima al «1800 delitto» (servizio pubblico della polizia dell’Ecuador) in cui si dichiarava che l’hacker russo Ola Bini – menzionato nella conferenza stampa dalla ministra Paula Romo – stava scappando dal paese. Tutto questo era parte di una grande menzogna e assai incongruente. La ministra non aveva mai nominato Ola Bini, tanto meno detto che fosse in fuga. In più, la registrazione di quella telefonata è scomparsa: le autorità della polizia hanno dichiarato che i registratori si erano danneggiati proprio in quel momento della giornata. A questo si aggiunse il cambiamento dei capi d’imputazione a Bini. Dopo essere stato accusato per aver attaccato un sistema informatico, nel giro di quattro mesi si riformulò tutto: accesso non consentito al sistema di comunicazione Cnt (Corporazione nazionale di telecomunicazioni).
Con questa accusa cominciò la prima udienza del processo nel mese di gennaio di quest’anno, cioè un anno e otto mesi dopo l’arresto. Da allora, si è registrata un’interruzione (la seconda udienza era prevista a metà maggio). Ola Bini, a tal proposito, ha confidato alla Cnn spagnola che «tutto è stato fin qui molto frustrante. È già trascorso troppo tempo. Questo ritardo dimostra che il governo ha avuto paura di andare avanti in quanto non ha nessuna prova reale e di nessun tipo contro di me».

Quali sono le prove dell’accusa?
In quella prima udienza si presentarono le prove della magistratura – che non provavano nulla, realmente. Si mostrarono alcune foto dell’aeroporto come se fosse il luogo del fatto. Inoltre, si è cominciato un processo giudiziario contro una persona senza che ci fossero prove concrete e ciò rappresenta una violazione del giusto processo. Per andare ancora più a fondo, la prova che ha dato origine al caso giudiziario – la chiamata telefonica – non esiste. Dopo tre anni, il processo continua senza la presenza di «fatti». Ora la decisione resterà al Tribunale che emetterà una sentenza. In definitiva, si vuole accusare Ola Bini di un delitto informatico con una prova documentale non informatica, bensì una fotografia. L’avvocato della sua difesa ha affermato anche che non c’è nessuna verifica da parte del governo e delle autorità dell’Ecuador che stabilisca una relazione criminale tra Ola Bini e Julian Assange.

Qual è stata la reazione rispetto al caso?
Oltre cento organizzazioni a livello internazionale hanno manifestato la loro contrarietà contro le irregolarità del processo, tra queste la Cidh (Commissione interamericana dei diritti umani) guidata dall’avvocato colombiano Pedro Vaca, l’Ufficio del relatore speciale per la Libertà d’espressione dell’Onu e dell’Oea (Organizzazione degli stati americani), l’organizzazione spagnola Electronic Frontier Fondation, l’Organizzazione statunitense Accessnow e Amnesty International, tra le altre. Lo stesso governo svedese, sebbene sia stato tiepido fino ad adesso, ha inviato una serie di comunicati sottoponendoli all’attenzione del ministro degli esteri dell’Ecuador: la richiesta è che si rispetti il giusto processo del caso.

Pubblicato in: https://ilmanifesto.it/ola-bini-un-caso-anomalo-della-giustizia



jueves, 26 de mayo de 2022

Elezioni in Colombia: la lettera del Gruppo Misto della Camera e del Senato al Ministro Di Maio.

Pubblico la lettera della componente ManifestA del Gruppo Misto alla Camera dei Deputati e due Senatori della Repubblica Italiana e inviata al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio. Nella lettera viene citato un mio articolo pubblicato su PAGINE ESTERI sulle elezioni in Colombia.

                      
 

 

Lettera aperta

All’On. Luigi Di Maio

Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

ministero.affariesteri@cert.esteri.it;

 

Roma, 26-5-2022

Oggetto: Primo turno delle presidenziali del 29 maggio 2022 in Colombia e iniziative per il loro svolgimento democratico.

 

Gentile Ministro Luigi Di Maio,

il 29 maggio prossimo quaranta milioni di elettori colombiani saranno chiamati alle urne per il primo turno delle elezioni presidenziali per designare il sostituto di Ivan Duque Márquez alla Casa de Nariño. A pochi giorni dalle elezioni presidenziali, l’aumento della violenza politica mantiene alta la tensione nel paese dell’America Meridionale. L'Osservatorio dei diritti umani, dei conflitti e della pace, promosso dall’Istituto per gli studi sullo sviluppo e la pace, Indepaz (https://indepaz.org.co/) ha  rilevato per  l’anno 2022 ben 36 massacri,  con 133 vittime  (dati fino al 24 aprile 2022). Sono stati uccisi in questo anno (dati fino al 15 maggio) 75 tra leader sociali e difensori dei diritti, mentre risultano essere stati uccisi venti firmatari dell'accordo di pace, (ex combattenti delle FARC). L’omicidio, ancora oscuro del nostro cittadino Mario Paciolla, collaboratore delle Nazioni Unite, è quasi certamente maturato dentro questo clima.

González Posso – Presidente di Indepaz, in un suo articolo, dell’11 aprile 2022, afferma: come ha sottolineato l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite in Colombia continuano ad essere commesse gravi violazioni dei diritti umani. Queste gravi violazioni hanno portato la Corte Costituzionale a definire questo stato di cose incostituzionale. Le persone sfollate con forza dai loro territori dal 2018 ad oggi, sono state mezzo milione (più di 400.000) secondo il registro nazionale delle vittime, altri sono confinati (200.000) come ostaggi di gruppi armati”. A seguito di questa situazione, risulta evidente a tutti gli osservatori internazionali, che i quattro anni trascorsi della presidenza di Ivan Duque non sono serviti per applicare gli accordi di pace con le FARC, mentre, invece, si sono create, sempre più, le condizioni per il ricorso all’arbitrio e alla violenza nelle dispute sociali e politiche.

A questo quadro si aggiunge, come scrive il sito Pagine Estere (https://pagineesteri.it/2022/05/17/mondo/colombia-elezioni-tra-speranze-e-tensioni-sociali/)  la situazione venutesi  a creare nel paese con l’estradizione Dario Úsug, del gruppo criminale  Autodefensas Gaitanistas de Colombia (AGC), un’organizzazione conosciuta anche come Clan del Golfo, la maggior banda criminale del paese.

Questi criminali stanno alimentando gravi problemi di ordine pubblico mettendo in atto il cosiddetto Paro Armado, cioè un’azione utilizzata dalle formazioni paramilitari per sfidare la presenza delle istituzioni statali su un territorio, per dimostrare la propria potenza di fuoco e il proprio controllo sulla polizia.

In questo contesto nazionale, pur caratterizzato da violazioni dei diritti, si sta affermando in Colombia una domanda, che viene dalla società, di cambiamento del quadro politico. Gli ultimi sondaggi, infatti, dell’Istituto Centro Strategico Latinoamericano di Geopolitica (CELAG) del 29 aprile scorso davano in vantaggio la coalizione del Patto Storico di Gustavo Petro (ex sindaco di Bogotá) e Francia Márquez (vincitrice del Nobel dell’Ambiente). Petro è al 43.6% delle intenzioni di voto, mentre Fico Gutierrez della destra uribista è al 27.7%. 

Nel clima politico dell’elezioni presidenziali sono intervenuti, inoltre, i vescovi colombiani, che con una loro dichiarazione pubblica il 21maggio 2022 hanno invitato i cittadini a partecipare all’elezioni, “poiché il voto è lo strumento più potente senza violenza che una società democratica ha per determinare il suo futuro”.

Per queste ragioni chiediamo un’iniziativa dell’Italia e del Ministero degli Esteri in sede europea affinché le rappresentanze diplomatiche dell’Unione Europea in Colombia il 29 maggio 2022, sviluppino tutte le iniziative necessarie per favorire il rispetto delle garanzie democratiche, per la più ampia partecipazione dei cittadini al voto e per il corretto svolgimento dello scrutinio dei risultati elettorali.

Distinti saluti.

Deputata Doriana Sarli

Deputata Guia Termini

Deputata Silvia Benedetti

Senatrice Paola Nugnes

Senatore Matteo Mantero

martes, 17 de mayo de 2022

COLOMBIA. Elezioni tra speranze e tensioni sociali.

 

COLOMBIA. Elezioni tra speranze e tensioni sociali