Non viene dalla politica, bensì dalla lotta sociale. Non era vincolato a nessun partito ed è un maestro. "Il Partito Libre ha candidato Castillo perché aveva tutti i requisiti necessari" dice l'ex deputata Indira Huilca. "Una faccia nuova, un forte radicamento regionale, una provenienza dal settore popolare"
Intervista a Indira Huilca ex deputata del Parlamento del Perú
di Davide
Matrone da Quito
È terminato lo spoglio totale dei voti. Castillo
vince le elezioni con un margine di 49.000 voti. Eppure non c’è ancora la
proclamazione del Presidente della Repubblica del Perù. Perché?
Negli ultimi giorni il partito di destra di Keiko Fujimori, ha deciso di utilizzare una strategia precisa:
quella di mettere sott’accusa la validità di tutte le elezioni. Per questa
ragione, stiamo ancora aspettando la proclamazione ufficiale dei risultati da
parte dell’organismo elettorale, che deve accogliere la richiesta di
Keiko Fujimori e poi dare una risposta. Dietro tutto questo c’è una strategia precisa: ritardare il più possibile la proclamazione dei risultati per
delegittimare tutto il processo elettorale. Il Fujimorimo ha diffuso una parola
d’ordine che va avanti dai primi momenti successivi al voto: ricorrere al broglio
elettorale sistematico. Per quanto questa narrativa non abbia molto senso e malgrado non ci siano riscontri che confermino questa presunta
irregolarità, la tattica sta funzionando. Complici i
mezzi di comunicazione che durante la campagna elettorale hanno preso posizione
a favore della candidata Keiko Fujimori. Inoltre, questa strategia aumenta l’instabilità
politica e sociale nel paese.
In questo scenario quale può essere il ruolo
dell’Oea, l'Organizzazione degli Stati Americani, che rimane ancora in silenzio?
Ufficialmente l’Oea ha terminato il suo compito di osservatore del processo elettorale e, all'indomani dei primi risultati, il suo rapporto coincide
con quello degli altri organismi internazionali. Non c’è nessuna osservazione
rilevante al riguardo. Di conseguenza si potrebbe affermare che il giorno delle elezioni non si è registrato
nessun atto irregolare. Però sembra strano che non ci sia, da due settimane, un
pronunciamento dell’OEA. Quello che stiamo vivendo è una situazione molto
pericolosa. Al Fujimorismo si sommano altri attori come i mezzi di
comunicazione ed altre forze politiche che creano confusione e incertezza. Se
si continua cosi potrebbe generarsi più instabilità. Sarebbe dunque opportuno che l'Oea si pronunci allo scopo di legittimare l’Organismo elettorale come entità preposta a
controllare il processo elettorale. Da notare, inoltre, che in questi giorni il livello di tensione nella popolazione è cresciuto, perché Fujimori ha inviato i suoi sostenitori a dar vita a delle manifestazioni pubbliche e, per di più, proprio nelle zone dove vivono i funzionari
dell’Organismo elettorale nazionale. Questi sono atti d’intimidazione vera e propria a mio avviso è abbastanza grave e per niente democratico. Non solo l’Oea, ma anche gli altri organismi internazionali
devono pronunciarsi.
C’è il rischio che possa ripetersi quanto accaduto
in Bolivia nel 2019?
Si, certo! Si potrebbe arrivare ad una situazione analoga. Il ruolo dell’Oea non è di prendere posizione rispetto a un determinato candidato o un altro ancora, se non quello di legittimare le autorità elettorali
incaricate all’esame dei voti.
In questo momento delicato, Keiko Fujimori viene
convocata dalla procura per chiarire la sua posizione su alcuni atti
di corruzione. Quali possono essere le conseguenze di quest’atto?
Una situazione inedita. Alle elezioni del 2016 il margine di vittoria di
Kuczynsk fu ancora più ridotto rispetto al risultato odierno, eppure allora non si è
registrato né questo livello d’aggressività da parte del Fujimorismo con l’uso di
questi meccanismi quasi al limite della legalità. Quindi, l’elemento di
differenza rispetto al 2016 è la possibilità di andare in carcere per Keiko
Fujimori né l'uso di meccanismi quasi al limite della legalità. La novità sta nel fatto che oggi, a differenza del 2016, Keiko Fujimori potrebbe andare in carcere. Attualmente, si sta costruendo il processo giudiziario e si stanno raccogliendo le prove, che sono molte, contro di lei. Il processo inizierà tra qualche mese e si avanzerà una richiesta di 30 anni di
carcere nei suoi confronti. Il Fujimorismo è consapevole di questa situazione.
Se Keiko non dovesse vincere le elezioni, il suo destino sarebbe il carcere. Si stanno giocando tutto e sono disposti a qualsiasi cosa pur di
evitare che Pedro Castillo assuma la presidenza della Repubblica.
Qual è la tua analisi del voto?
Al primo turno elettorale c’è stata una partecipazione bassa, intorno
al 70%, e un’alta percentuale di voti nulli e bianchi. Da un lato, l’apatia del primo turno,
dovuta anche alla pandemia, ha favorito la conquista del secondo turno di Keiko
Fujimori, con uno striminzito 13.5%. Nonostante l'eigua percentuale, il suo partito è riuscito a passare. Dall’altro, il candidato Pedro Castillo ha conseguito una
votazione stupefacente in alcune regioni del Paese, che gli ha permesso di avere un
risultato nazionale dignitoso e di raggiungere il 19%. La sua crescita si evidenzia
nelle regioni fuori dalla città di Lima. Conquistato il ballottaggio, il
Fujimorismo pensava che la vittoria su Castillo fosse alla portata di mano: il maestro era considerato un candidato facile da battere, anche perché si poteva sempre giocare la
carta dell’anticomunismo, dell’antichavismo e dell’antiterrorismo. Invece, non
è stato cosi.
La figura di Castillo
Non viene dalla politica, bensì dalla lotta sociale. Non era vincolato a nessun
partito. Il Partito Perù Libre l’ha candidato perché aveva tutti
requisiti necessari: una faccia nuova, un forte radicamente regionale, una provenienza dal settore popolare. Nonostante le premesse favorevoli, nessuno, anche all'interno dello stesso partito, si
aspettava questo alto livello d’accettazione popolare. La crescita di Castillo
viene soprattutto nella zona sud del Paese, che contesta maggiormente il modello
di sviluppo neoliberista e che, inoltre, rifiuta il centralismo della
capitale Lima.
Il sud del paese è una zona ricca ma povera. Da
qui viene buona parte dell’appoggio a Pedro Castillo. Cosa ne pensi?
Si, è una zona molto ricca di minerali e di gas, ma, nonostante queste
ricchezze, non si può dire che sia avvenuto un miglioramento delle condizioni
di vita dei suoi abitanti. C’è ancora molta disuguaglianza, perché le risorse
vanno via e non restano sul territorio. Qui, lo Stato non ha mai attuato un
piano serio di sviluppo, lasciando invece l’iniziativa ai privati e alle
multinazionali straniere. In definitiva, il sud è la zona del Paese che è più
incline a votare per un candidato che generi delle trasformazioni e in questa
elezione Pedro Castillo ha rappresentato il candidato del cambiamento. È il sud che ha
designato il nuovo presidente della Repubblica del Perù.
Quali sono gli scenari futuri per il Perù con la
vittoria di Castillo?
Prevedo uno scenario molto difficile, a fronte dell’alto livello d’aggressività da
parte delle opposizioni. Ho l'impressione che questa dinamica continuerà anche nei prossimi anni e, d'altronde, è un meccanismo che si è prefigurato fin dal primo giorno e che ha generato uno stallo per i primi
mesi di governo. Il Parlamento l’alleanza Castillo – Mendoza può contare su 42 parlamentari contro un totale di 130. È un buon numero, ma non è sufficiente. Di conseguenza la sfida di Castillo sarà mantenere compatta la sua base sociale per bloccare gli attacchi che
verranno dalla destra. La stessa base sarà, inoltre, importante e determinante per la
convocazione di un’Assemblea costituente.
Quanto è sentita nella popolazione la riscrittura
di una nuova Costituzione?
Secondo gli ultimi sondaggi il 50% della popolazione chiede una Nuova costituzione, mentre il 30% vuole una riforma parziale e solo un 20% dichiara di non volerla cambiare.
Pubblicato in: https://left.it/left-n-27-9-luglio-2021/
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