Lo sciopero nazionale paralizza l’Ecuador, assaltato il convoglio del presidente Noboa
Il paese nel caos Nelle auto anche l'ambasciatore italiano, il principale diplomatico vaticano e dirigenti di Onu e Ue. Decreto d'emergenza sposta ufficialmente la capitale da Quito a Latacunga, nel cuore della zona indigena.
Davide Matrone. QUITO.
C’era anche l’ambasciatore italiano Giovanni Davoli, insieme al presidente dell’Ecuador Daniel Noboa, a bordo del convoglio “umanitario” attaccato domenica sera a Cotacachi, nella provincia di Imbabura – nelle auto governative anche un diplomatico vaticano e inviati di Nazioni unite e Unione europea. Proprio nell’ospedale di Cotacachi era morto poche ore prima Efrain Fuerez, la prima vittima del conflitto tra il governo dell’erede legge-e-ordine della miliardaria dinastia bananiera dei Noboa e le formazioni indigene e sindacali, conflitto che sta paralizzando il paese.
Circa 350 persone hanno circondato le auto del presidente, il solo danno è stato qualche finestrino rotto ma la tensione è stata altissima, l’esercito ha denunciato il sequestro di 17 soldati che facevano parte dei cinquanta della scorta, altri 12 hanno riportato contusioni e ferite.
Non è un caso, che il rappresentante italiano fosse della partita. All’inizio di luglio il governo italiano ha riconosciuto a quello ecuadoriano un canje de deuda, la cancellazione di 10 milioni di dollari di debito in cambio del loro investimento in “programmi per la sicurezza”. E sono proprio quei programmi che il governo Noboa sta impiegando a tutto spiano. Da 15 giorni in Ecuador le tensioni sono gravissime. Da una parte le organizzazioni sociali del movimento indigeno come Conaie, Ecuarunari e Fenocin, quelle dei lavoratori della Fut, degli studenti della Feue e dei movimenti ambientalisti e degli antimineros, dall’altra l’esercito schierato dalla presidenza della Repubblica. Il bilancio dei conflitti in strada comincia a pesare: tre morti, oltre 100 arresti tra i manifestanti, quasi 50 feriti – secondo il governo ci sarebbe solo un morto, il comunero Efrain Fuerez, artigiano quechua di 47 anni e due figli, crivellato di proiettili quando i militari hanno aperto il fuoco contro i manifestanti e morto in ospedale a Cotacachi domenica mattina – domenica sera, nella stessa città, l’assalto al convoglio di Noboa.
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| I leader indigeni Ercilia Castaneda (sin), Marlon Vargas (centro), e Alberto Ainaguano (des) in conferenza stampa a Quito contro i tagli del governo, foto Dolores Ochoa /Ap |
Quella del 15 settembre è stata la manifestazione pacifica più grande che si sia mai realizzata nella città di Cuenca, secondo la stampa locale. La Conaie si è riunita in assemblea dal 15 al 20 settembre e ha deciso la strada della lotta con la dichiarazione del paro nacional, lo sciopero nazionale a tempo indeterminato, dal 21 settembre. Da allora la tensione è aumentata giorno dopo giorno con durissimi scontri nelle zone di Otavalo e Cotacachi, dove appunto si è consumata la morte di Efrain Fuerez. Quest’ultimo era stato soccorso da alcune persone dopo l’incidente, che sono state poi raggiunte da un blindato dell’esercito che ha disperso i soccorritori e fatto ripetutamente fuoco. Le immagini hanno fatto il giro del mondo attraverso le reti sociali. Alla dichiarazione dello sciopero nazionale a tempo indeterminato il governo ha risposto con il pugno di ferro. |
Il primo provvedimento è stato quello di spostare la sede del governo dalla capitale Quito alla città di Latacunga dove risiede l’ex líder della Conaie Leonidas Iza e dove si concentra una delle ali più radicali del movimento indigeno, il Micc (Movimiento Indigeno Campesino Cotopaxi) di cui Leonidas Iza è stato il leader per anni. Un modo per sfidare le organizzazioni indigene sul loro stesso terreno, e evitare che calassero su Quito.
Inoltre il governo ha risposto con una repressione brutale occupando militarmente interi territori del paese e in alcuni interrompendo l’uso di internet, evitando qualsiasi forma di comunicazione con l’esterno. Tre giorni fa, durante gli scontri ad Otavalo sono stati detenuti 12 manifestanti poi inviati ai sistemi penitenziari di Esmeraldas e Portoviejo come se fossero terroristi.
Una situazione che ha provocato una dura risposta dell’intera comunità considerando inoltre, che nelle giornate del 22 e 25 settembre in Ecuador si sono consumati due massacri nelle carceri di Machala ed Esmeraldas con un bilancio di 40 morti. Per l’incolumità dei 12 catturati a Otavalo si sono attivate manifestazioni di solidarietà anche nella “vera” capitale Quito, dove per vari giorni settori della società civile hanno protestato all’esterno dell’Unità di flagranza della Polizia nazionale chiedendo la scarcerazione di tre giovani manifestanti di Quito e dei 12 otavalegni rinchiusi in un carcere di massima sicurezza.
Davide Matrone
Docente e ricercatore universitario in Ecuador. Latinoamericanista
Pubblicato su: https://ilmanifesto.it/lo-sciopero-nazionale-paralizza-lecuador-assaltato-il-convoglio-del-presidente-noboa


