Intervista/Il partenopeo Davide Matrone: «Così racconto in un libro le visite di Fidel in Ecuador. Con un contributo di Gianni Minà»
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Una foto dello sciopero nazionale in Ecuador del giugno 2022 |
Nelle librerie indipendenti italiane sta per arrivare un libro fresco di stampa. S’intitola: “Fidel in Ecuador. Le relazioni fra due paesi amici”, edito da La Città del Sole. L’opera è stata scritta da Davide Matrone, studioso originario di Pozzuoli, che è un docente universitario in Ecuador, dove lavora all’Università politecnica salesiana di Quito.
Laureato in Scienze politiche all’Università L’ Orientale di Napoli, dopo aver conseguito un master in comunicazione e opinione pubblica, da molti anni vive in America Latina. Nonostante questo, Matrone non ha reciso le radici con la propria terra e collabora come corrispondente dall’estero per numerose testate e riviste, fra cui il Manifesto, l’Antidiplomatico, Left, Revista crisis, Pagine esteri. Lo abbiamo intervistato per avere un’anticipazione sul libro e chiedergli informazioni sullo sciopero generale che ha recentemente investito il paese in cui vive, provocando morti e feriti fra i manifestanti.
Come nasce quest’opera?
L’idea mi venne due anni fa. Stavo approfondendo il tema della cooperazione fra l’Ecuador e Cuba. Ho cominciato a dare una certa attenzione alle visite che Fidel Castro compì qui.
Come mai hai scelto un tema così particolare?
Sono stato un militante della sinistra comunista italiana, mi sono sempre occupato di esteri, in particolare dell’America latina. Ho fatto parte per sei anni dell’Associazione nazionale Italia-Cuba, divenendone il segretario del circolo di Pozzuoli. Poi, da 14 anni, per varie ragioni, ho deciso di venire a vivere in Sud America, stabilendomi prevalentemente in Ecuador.
In un centro senso, sì. Vi sono due temi legati che fanno parte del mio percorso: la passione per Cuba – narrata attraverso la figura del leader maximo – e l’interesse per la storia del paese che mi ha adottato. L’ispirazione per questo sincretismo mi nacque una notte in cui venni invitato alla presentazione di un libro. Questo testo venne presentato in concomitanza con la commemorazione della morte di Castro e parlava delle relazioni fraterne fra i popoli cubano ed ecuadoregno. Da lì, avviai la ricerca e la documentazione.
In cosa differisce il tuo libro rispetto ad opere simili?
La sua originalità consiste nel lavoro storiografico e sulla divulgazione inedita dei riconoscimenti che lo stato ecuadoregno ha dato al compianto Presidente di Cuba. In particolare, documento i premi che due università conferirono a Fidel per i meriti e gli sforzi fatti dal governo cubano nel settore dell’educazione, che è uno dei capisaldi della Revoluciòn.
Com’è strutturato?
Nella mia ricerca, ho ricostruito le visite compiute da Fidel in Ecuador nel 1971, 1988, 2002, 2003. A ciascuna di queste date corrisponde un relativo capitolo. Il primo, si concentra sulla visita tecnica, di sole 7 ore, che il Comandante della Rivoluzione cubana compì all’aeroporto di Guayaquil. Quella fu una sosta lungo il tragitto che avrebbe portato Fidel in Cile, con l’intento di abbracciare Salvador Allende. Il presidente ecuadoregno dell’epoca, Velasco Ibarra, sapendo dello scalo, lo volle incontrare. Ibarra aveva una politica indipendente dagli Usa e grande era in lui il desiderio di conoscere il leader dell’insubordinazione continentale. Pochi mesi dopo, non a caso, venne destituito da un colpo di stato voluto dagli Stati Uniti d’America.
Di cosa parlano gli altri capitoli?
Il secondo, narra della visita durante l’insediamento del presidente socialdemocratico Rodrigo Borja. Qualche tempo prima, Fidel aveva previsto la sua ascesa alle elezioni e aveva visto in lui un punto di riferimento per il rafforzamento delle relazioni tra i due paesi. Il terzo capitolo, si concentra sulla visita non ufficiale, ma sentimentale, di Castro in occasione dell’inaugurazione de La Capilla del Hombre, museo d’arte costruito su iniziativa del caro amico Oswaldo Gauyasamín. In questa circostanza, si registrò anche la visita a sorpresa di Hugo Chavez, presidente del Venezuela, che si incontrò così per la prima volta col leader maximo. L’ultimo capitolo, invece, è legato alla visita definitiva di Castro in Ecuador per l’insediamento di Lucio Gutierrez. In un primo momento, Gutierrez si disse vicino alle posizioni della sinistra latinoamericana, ma poco dopo cambiò la posizione e virò a destra. Dopo qualche anno, Fidel definì Gutierrez un ingannatore del popolo ecuadoriano. Nella ricca appendice, infine, figurano i numerosi riconoscimenti dati dalle istituzioni ecuadoriane al capo della rivoluzione cubana.
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Uno scatto dello sciopero nazionale in Ecuador nel giugno 2022 |
Il prologo della tua opera è scritto da Gianni Minà…
Sì, il libro è impreziosito da alcuni contributi molto importanti. L’introduzione è stata curata dalla professoressa Alessandra Riccio. Tramite lei, con cui ho sempre avuto un ottimo rapporto, sono riuscito a entrare in contatto con Gianni Minà, che è un faro del giornalismo italiano nel mondo. A dire il vero, il suo contributo è stato inaspettato. Gli scrissi nel novembre 2020, anche se sapevo che non sarebbe stato facile ricevere un suo scritto. Temevo che non mi rispondesse. Poi, nel gennaio 2021, mi contattò inviandomi il suo contributo, che consisteva in un testo sulla figura di Fidel come paradigma del rivoluzionario. Questa cosa mi ha dato uno slancio enorme. Infine, attraverso compagni e amici italiani ed ecuadoregni, sono riuscito a entrare in contatto con il giornalista di Radio La Habana, Pedro Matrinez Pirez, accompagnatore ufficiale di Fidel in tutte le visite in Ecuador.
In cosa consistono i contributi raccolti nel tuo libro?
Minà descrive Castro come uno dei personaggi più importanti della storia contemporanea. Dà un senso alla sua persona, all’uomo d’azione, al pensatore di una prassi ideologica integralmente dedicata alla causa dei lavoratori, dei proletari, degli ultimi. Gianni ha narrato meglio di chiunque altro il contributo che ha dato Castro alle masse lavoratrici e all’autodeterminazione dei popoli. Il contributo di Alessandra Riccio, invece, oltre ad essere un sunto del testo, si incentra sulla costruzione delle relazioni bilaterali tra il popolo ecuadoregno con il popolo cubano e sulla loro hermandad. Pedro Martinez Pirez, infine, traccia un parallelismo fra due figure iconiche: Jose Martì, per Cuba, ed Eloy Alfaro, per l’Ecuador, legati da sentimenti di amicizia e solidarietà per un’idea di indipendenza.
In Ecuador si è tenuto un imponente sciopero generale. Qui in Italia se n’è parlato pochissimo. Ci puoi dare qualche elemento in più?
Ci sono stati 18 giorni di sciopero convocati dalla Conaie, la confederazione dei popoli indigeni in Ecuador. Si parla dell’organizzazione più grande del 7% della popolazione ecuadoregna, vale a dire un milione e mezzo di persone. La Conaie ha un peso rilevante nelle aree interne, nelle campagne, in acune aree della Sierra. Riesce sempre a mobilitare un gran numero di persone. In sintesi, questa struttura equivale un po’ ai nostri sindacati, con la differenza che, nel 2022, la Conaie ha ancora la capacità di mobilitare la gente che i nostri sindacati hanno perso da almeno 20 anni.
Quali sono state le ragioni della protesta?
Lo sciopero è nato come atto di ribellione al neoliberismo, le cui ricette vengono applicate in Ecuador da cinque anni anni, grazie ai governi Moreno e Lasso. Sono stati smantellati quei pochi diritti dei lavoratori esistenti e quel po’ di stato sociale che si era costruito con 10 anni di governo Correa. Inoltre, è aumentato lo sfruttamento delle risorse minerarie e delle risorse naturali nei territori indigeni (cosa però portata avanti anche dallo stesso Correa). In breve, sono state introdotte una serie di politiche che hanno aumentato diseguaglianze, povertà, disoccupazione.
Vi sono stati scontri violenti e ci sono stati anche morti tra i manifestanti…
In diciotto giorni di sciopero, si è registrata una risposta brutale delle forze dell’ordine, equipaggiate fino ai denti, che hanno violato i diritti umani. Certo, vi sono stati anche atti di vandalismo, compiuti da minoranze spoliticizzate e criminali, che sfruttano questi momenti pensando di fare ciò che vogliono. Tuttavia, l’elemento centrale è che i settori popolari che più hanno subito le politiche neoliberiste, hanno risposto massicciamente all’appello alla mobilitazione. I punti salienti su cui si è incentrata la protesta sono stati: lo stop alle privatizzazioni, l’aumento delle risorse per l’educazione e la salute, lo stop allo sfruttamento delle risorse minerarie, maggiori opportunità di lavoro soprattutto per i giovani. L’Ecuador non è nuovo a queste lotte. Nell’ottobre 2019, vi furono 13 giorni di sciopero con 7-8 morti. Oggi, si registra un numero appena inferiore.
Eppure, la nostra stampa ha trattato pochissimo il tema.
Fa male il silenzio della comunità internazionale di fronte alle ragioni di una protesta che ha paralizzato completamente un paese importante dell’America latina. Cè stata più attenzione in Inghilterra e Francia, da parte di quotidiani di destra o conservatori, che in Italia dalla Repubblica e dal Corriere della Sera.
Il Sud America si conferma un laboratorio per l’avanzata delle sinistre?
Bisognerebbe contestualizzare ragioni storiche, politiche, sociali, economiche. Ma, in definitiva, sì. Negli ultimi tempi, le vittorie di Boric in Cile e di Petro in Colombia raccontano della costruzione di una nuova unità popolare, nata dal basso, posata su questioni lavorative, ambientali, di genere, passando per temi come l’educazione, i diritti degli animali, la salute.
Cosa ti lega ancora a Pozzuoli?
Il primo legame è familiare. Ogni anno, ritorno a casa dei miei genitori e trascorro con loro le vacanze estive. Poi, mantengo un legame affettivo col territorio in cui sono cresciuto e in cui mantengo ancora rapporti di amicizia. In futuro, mi piacerebbe ritornarci, magari per godermi la pensione, quando mio figlio sarà grande. Magari portò dare un contributo con la mia esperienza in America latina nel settore dell’associazionismo, della politica, dell’editoria, trasmettendo esperienza ai più giovani.